L’ultimo abbraccio dei due Lorenzo. La stessa morte a 9 anni di distanza
«Non chiamatela fatalità, per favore. Sì, erano amici, avevano lo stesso nome di battesimo, giocavano insieme a basket. Ma se sono morti entrambi in incidenti stradali a distanza di anni non si può accusare il destino. Ci sono colpe ben precise e sono umane. Sono stati entrambi omicidi stradali». Stefano è il vice presidente dell’Associazione Lorenzo Guarnieri intitolata al figlio morto a 17 anni travolto da uno scooterista che aveva assunto droga e alcol. L’associazione è stata determinante per l’approvazione in parlamento, nel 2016, della legge sull’omicidio stradale.
La foto insieme
È babbo Guarnieri a postare sul profilo Facebook dell’associazione la foto di suo figlio, ancora bambino, abbracciato a Lorenzo Lunghi, il suo amico del cuore. I due si erano frequentati sino al 2010 quando Guarnieri è morto, ma insieme alla famiglia non aveva mai dimenticato quel ragazzo, i suoi genitori e l’associazione che continuava a frequentare. Poco dopo mezzogiorno di sabato scorso Lorenzo Lunghi, 27 anni, è stato travolto sull’autostrada Livorno-Genova da un Tir, che ha invaso la corsia di emergenza. Il giovane era al lavoro e stava aiutando alcuni colleghi a cambiare uno pneumatico. Stefano ha saputo della tragedia al telefono da Luca Lunghi, il babbo di Lorenzo. E per un attimo è tornato indietro nel tempo e ha rivissuto la sua tragedia.
Il dolore
«A quel padre non ho detto le solite parole consolatorie, quelle di circostanza che non servono a niente — ricorda Stefano —. Non gli ho detto di essere forte, non ho usato stereotipi, frasi fatte e non gli ho detto neppure che adesso suo figlio è un angelo che ha raggiunto in cielo il suo amico, mio figlio. Sono uscito di casa e insieme a mia moglie ho raggiunto quei genitori amici miei e ho cercato di aiutarli nei fatti concreti, affrontando la disperazione. Come accompagnarli all’obitorio a riconoscere il corpo del figlio. Ho cercato di contenere il mio dolore e ho lasciato che quel padre e quella madre elaborassero il loro. Così devastante, così indescrivibile». Poi, tornato a casa, Stefano ha postato la foto dei due amici e ha scritto che è sempre «difficile, ma alcune volte è molto più difficile, affrontare l’omicidio stradale di un ragazzo giovane nel pieno della vita». E che a volte «la rabbia, il senso di frustrazione, lo sconforto ti assalgono» perché «riaffiorano tanti ricordi belli di un infanzia felice, piena di sorrisi, speranze, gioie, vittorie, sconfitte, palloni da basket, palazzetti, scuole, bambini meravigliosi, maestre e allenatori entusiasti di stare con loro». E allora, ha scritto ancora Stefano Guarnieri, ti domandi di nuovo «perché come comunità, come paese, come mondo non riusciamo a cambiare tutto questo? Venir uccisi mentre si lavora, mentre si torna a casa, mentre si va a giocare, mentre ci si allena, mentre si fanno progetti, mentre si prova amore. C’è un solo luogo in cui questo accade: la strada. E un solo artefice: l’uomo». Infine l’ultimo saluto. «Caro Lorenzo mancherai a tanti amici come è mancato a tanti il nostro Lorenzo tuo compagno di squadra di un tempo felice. Nessuno potrà però cancellare i bei ricordi. Dovevi, anche tu, continuare a vivere».
Legge e pedagogia
È stata una fatalità? «Non è mai una fatalità. Mai — risponde secco Guanieri —. E proprio per questo ci siamo battuti per l’approvazione della legge sull’omicidio stradale che non essendo retroattiva non ha riguardato mio figlio. Chi lo ha ucciso non ha fatto un giorno di carcere e adesso può continuare a guidare». Però Stefano è convinto che una legge, se pur giusta, non può bastare da sola. «Serve una pedagogia del vivere la strada — spiega —, un’educazione che parta dalle elementari e entri nell’anima dei bambini e dei ragazzi. Anche la politica deve dare maggiore priorità ai temi della sicurezza stradale». Perché se due amici di nome Lorenzo sono morti nello stesso modo il caso non c’entra, il fato è innocente. (Corriere)