Paolorossi, il ragazzo della porta accanto

17 Dicembre 2020 - 15:59

Paolorossi, il ragazzo della porta accanto

Paolorossi, tutto attaccato. Come la sequenza dei suoi gol, uno dietro l’altro. E Pablito. el hombre del mundial. Il dolce volto del ragazzo della porta accanto. La faina del gol. Un uomo semplice e genuino.

Col sorriso stampato negli occhi. Appena appannato dalla trama di un oscuro patto tra calcio e scommesse. Paolorossi-Pablito è stato l’icona di un’epoca.

Seppe unire e far gioire un’Italia che stentava ad uscire dagli anni di piombo. L’uomo della liberazione da un incubo. Il campione che con i suoi gol riportò l’Italia del calcio sul tetto del mondo quarantaquattro anni dopo.

Terzo titolo, il quarto verrà ventiquattro anni dopo. Non ha mai diviso. Sapeva unire come pochi. Con la genuinità e l’affetto di un amico vero.

Ha uniti nel pianto i suoi compagni d’avventura che hanno portato sulle spalle quella cassa di legno leggera che aveva il peso del dolore. Paolorossi e quegli azzurri che hanno attraversato un’epoca come i ragazzi di Penny Lane e sono entrati nella storia.

Immagini che resteranno sempre vive nella nostra mente. La tripletta al Brasile, l’urlo di Tardelli, l’esultanza del presidente partigiano come un ultrà sotto lo sguardo regale del rey di Spagna.

Non ha mai ecceduto nell’apparire. Gli piaceva, semplicemente, essere. E scherzare con la sua vita. Il Brasile ha pianto collettivamente due volte. Il giorno del Maracanazo, sconfitto dall’Uruguay.

E il 5 luglio dell’82: Rossi-Rossi-Rossi, sì Paolorossi-Pablito. Molti anni dopo, in Brasile, un tassista durante il percorso, guardò nello specchietto e disse: ma lei è Paolo Rossi? Sì, rispose Pablito.

E il tassista: allora scenda dal mio taxi, lei ha fatto piangere di dolore un Paese intero! Scese Paolino, gli sorrise e chiamò un altro taxi. La fama gli è rimasta appiccicata addosso come una seconda pelle.

Non l’ha mai cercata, assecondata appena. Non è stato l’uomo del “lei non sa chi sono io”. E per questo il vecio Bearzot lo amava come un figlio, ricambiato.

E lo scelse e lo protesse a dispetto di quanti avrebbero voluto al suo posto Ciccio Graziani. L’inizio di quell’avventura non fu semplice. Poi, nelle sfide che cominciarono ad essere decisive, dalla fioriera della semplicità sbocciò la rosa più bella.

Tre gol al Brasile dei mostri sacri Falcao e Socrates, due alla Polonia, uno alla Germania in finale. Un caro amico, inviato di un quotidiano romano, dopo il girone eliminatorio, gli sbatté in faccia: “Ahò, ma quanno te ne vai a casa?”.

Paolorossi-Pablito non replicò, gli sorrise. E via verso la gloria. E il ritorno di tutti a casa come trionfatori. Prima che si aprisse il portellone dell’aereo sulla pista romana, Paolorossi-Pablito non gonfiò il petto.

Disse soltanto: ragazzi, abbiamo evitato i pomodori. Roby Baggio, in lacrime per l’ultimo saluto, ha sussurrato: “Sei riuscito dove io ho fallito”. Quel rigore a Pasadena spedito nel cielo. Là dove Paolorossi-Pablito starà segnando ancora gol a raffica. Sorridendo.

Adolfo Mollichelli