Meloni rivoluziona il reddito di cittadinanza: andrà solo a chi non può lavorare,660mila persone perdono il sussidio

31 Ottobre 2022 - 18:32

Meloni rivoluziona il reddito di cittadinanza: andrà solo a chi non può lavorare,660mila persone perdono il sussidio

Il reddito di cittadinanza è davanti a un bivio.

Da un lato c’è la concessione per le persone non in condizioni di lavorare, dall’altro coloro che sono in grado di lavorare.

Secondo il presidente del consiglio: «resterà un doveroso sostegno economico dello Stato». «Ma per gli altri, per chi è in grado di lavorare, la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza», ha aggiunto.

Dividendo così la platea dei beneficiari, il nuovo Governo punta a riesaminare la misura di contrasto alla povertà attiva in Italia da aprile 2019, che nel 2022 ha raggiunto almeno una volta 1,1 milioni di famiglie, e che comporta una spesa di otto miliardi all’anno.

Secondo Meloni la misura bandiera del Movimento 5 Stelle ha rappresentato «una sconfitta» per tutte quelle persone che sono in grado di lavorare: per loro la vera soluzione deve essere «il lavoro, la formazione e l’accompagnamento al lavoro, anche sfruttando le risorse del Fondo sociale europeo».

A chiarire chi sono i beneficiari che, con queste premesse, rischiano di perdere (o di vedersi decurtato) il contributo, sono i numeri dell’Anpal, l’Agenzia nazionale delle politiche attive per il lavoro.

Il reddito di cittadinanza raggiunge circa 1,1 milioni di famiglie per un totale di 2,3 milioni di persone coinvolte, tra richiedenti e altri membri del nucleo familiare.

Quelli che, invece, sono potenzialmente occupabili sono 660.602.

Sta di fatto che per coloro i quali sono destinatari dei posti di lavoro, l’approdo non è assolutamente immediato.

Ma soprattutto, il principale ostacolo è rappresentato dalla loro lontananza dal mercato del lavoro: il 73% dei 660mila non ha avuto esperienze lavorative negli ultimi tre anni. E comunque, per chi l’ha avuta, nel 36,3% dei casi è durata meno di tre mesi. È basso anche il livello di istruzione: il 70,8% ha solamente la licenza di terza media.

Le aziende, però, richiedono già un minimo di competenze del candidato, una propensione al lavoro necessaria anche per affrontare un percorso formativo.

«Spesso prima di poter parlare davvero di un lavoro – fa sapere un navigator – bisogna capire se il beneficiario del sussidio è davvero pronto, persino se è in grado di fare un colloquio o di seguire con profitto un corso». Per legge il percettore di Rdc che ha sottoscritto il Patto per il lavoro è tenuto ad accettare almeno una di due offerte di lavoro congrue, anche provenienti direttamente da datori privati.

«Molto spesso non si arriva neanche alla prima offerta», fanno sapere i navigator, confermando le difficoltà di mettere in campo politiche attive a beneficio di chi vive ai margini della società. Al di là di chi viene subito indirizzato ai servizi sociali (a esempio persone disabili, con disturbi mentali o tossicodipendenze), poi però ci sono numerose situazioni a cavallo, che richiedono una presa in carico congiunta tra servizi sociali e centri per l’impiego», afferma Paolo Drago, responsabile territoriale dei servizi sociali di Pesaro.

«Magari inizialmente vengono affidati ai centri – continua Drago – ma poi emergono altre fragilità come abbandono genitoriale oppure alcolismo per cui è necessario attivare percorsi personalizzati e solo in un secondo momento passare all’inserimento lavorativo».

Fonte: Dagospia