«Il farmaco anti-artrite non è efficace», studio mondiale contro la cura Ascierto

30 Luglio 2020 - 2:46

«Il farmaco anti-artrite non è efficace», studio mondiale contro la cura Ascierto

Sembra esistere «un sottogruppo di pazienti con Covid-19 che potrebbe comunque beneficiare del trattamento con tocilizumab». Lo afferma all’Adnkronos Salute Paolo Ascierto, direttore dell’Unità di oncologia melanoma, immunoterapia oncologica e terapie innovative dell’Istituto tumori Irccs Fondazione Pascale di Napoli, commentando i risultati dello studio Covacta. Proprio Ascierto per primo ha utilizzato a Napoli il farmaco anti-artrite reumatoide nel trattamento della polmonite interstiziale da Covid-19, intuendo che potesse frenare la tempesta citochinica nei pazienti colpiti dal virus. Ebbene, «gli studi di fase III rimangono sempre i più importanti per dimostrare l’efficacia di un farmaco, e noi oncologi lo sappiamo bene», dice l’esperto.

«Covacta, lo studio di fase III su scala mondiale che ha valutato l’efficacia dell’utilizzo del tocilizumab confrontato con il placebo non ha dimostrato un vantaggio statisticamente significativo nel ridurre la mortalità a 4 settimane e nel miglioramento clinico nei pazienti con polmonite e Covid-19. Tuttavia – rileva l’oncologo – si segnala che il tempo di dimissione nei pazienti trattati con tocilizumab risulta inferiore. Questo dato potrebbe indicarci che esiste un sottogruppo di pazienti che potrebbe comunque beneficiare del trattamento con tocilizumab». Come individuarli? «La chiave potrebbe essere in alcuni biomarcatori», dice Ascierto.

Purtroppo in questi studi, come il Covacta, «non sono noti i valori di alcuni biomarcatori che possono permetterci di individuare i pazienti che potrebbero trarre beneficio dal farmaco, quali ad esempio – spiega l’oncologo – i valori basali di IL-6, Pcr, ferritina, D-Dimero». Insomma, «da tutti questi studi, disegnati in un momento di emergenza, non sappiamo quali erano i livelli di IL-6. A breve pubblicheremo i dati su un altro anti-interleuchina-6, dove abbiamo visto alcuni biomarcatori. Insomma, lì dove i livelli di questi biomarcatori sono elevati – aggiunge – sembra che questi siano i pazienti che possono beneficiarne di più».