Caso Yara, la svolta: “La bimba è morta in palestra, ecco le prove”

1 Marzo 2019 - 13:39

Caso Yara, la svolta: “La bimba è morta in palestra, ecco le prove”

Caso Yara, la svolta: “La bimba è morta in palestra, ecco le prove”

Partiamo da un presupposto dettato dall’articolo 533 del codice di procedura penale che prevede: «Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato al di là di ragionevole dubbio».

Nel caso di Yara Gambirasio sono molti i ragionevoli dubbi che, ad oggi, aleggiano sulla reale colpevolezza di Massimo Bossetti. In particolare ci sarebbero numerose prove a sostegno che la ragazzina sia morta in palestra. Vediamo quali sono

Quanti dubbi sulle tracce

Il primo riguarda la famosa prova regina del Dna, quella che inchioderebbe il muratore bergamasco. Se da una parte l’accusa si è sempre detta certa che quel Dna, trovato sui leggings della povera ragazza, appartenesse, per «quantità e qualità», a Bossetti, dall’altra non ha mai dato la possibilità alla difesa di poter periziare il «grezzo» di quel campione.

Diciamo che è come se un maledetto giorno fosse trovato del vostro Dna sul corpo di una ragazza, a voi sconosciuta, e vi accusassero di omicidio senza darvi la possibilità quantomeno di analizzare, con la vostra difesa, quella prova. Fosse quel Dna almeno l’unico ritrovato sul corpo della povera ragazza, invece no. Sul corpo di Yara sono stati ritrovati altri undici campioni di Dna non appartenenti né al presunto colpevole né alla vittima. Altri undici ignoti che la Procura non ha mai pensato di ricercare pur trattandosi di tracce importanti di sangue, bulbi piliferi, cute e forse vomito. Paradosso dei paradossi mentre il Dna di Ignoto 1 appare incompleto, esiste solo la parte nucleare e non quella mitocondriale (anomalia fino ad oggi mai esistita in natura) gli altri undici sono completi.

L’indagine che non c’è

Soltanto di uno di questi la procura ha sentito il bisogno di indagare ed era quello riferito alla insegnante di ginnastica di Yara, tale Silvia Brena.

La Brena fu interrogata ma mai posta sotto indagine in quanto il suo dna trovato sul giubbotto della vittima, era compatibile con il fatto che le due ragazze si conoscessero. Quindi la procura parte da un postulato: la vittima e l’omicida non si dovevano conoscere. Postulato assai pericoloso perché noi sappiamo come spesso questi delitti si consumino tra persone che, quantomeno, si conoscono. Undici dna sul corpo della vittima ma l’unico ignoto da ricercare è Bossetti.

E se ci fossero complici?

Una domanda a questo punto sorge spontanea: ma l’omicida di Yara non poteva aver agito con dei complici? Altri elementi che mi procurano qualche dubbio sono legati sia al famoso furgoncino bianco che «per motivi di comunicazione» sembrava essere quello di Bossetti ma che si è scoperto, lo cita la sentenza di primo grado, che è «compatibile» ma non «uguale» a quello del muratore bergamasco.

Le celle telefoniche

E che dire delle celle telefoniche? Appare in sentenza che Yara si connetteva il 26 novembre 2010 (data della scomparsa della piccola) per l’ultima volta con una cella telefonica alle 18,50 compatibile alla palestra e che Bossetti alle 17,45 con una cella telefonica, diversa, e compatibile con casa sua.

Il movente dov’è?

Se il movente appare di natura sessuale, pur non avendo subito la vittima alcuna violenza carnale, appare ancora dubbiosa la ricostruzione di come sia avvenuto l’orrendo agguato. Yara e Bossetti non si conoscevano e quindi risulta pressoché impossibile che una ragazzina di tredici anni salga volontariamente su un furgone guidato da uno sconosciuto.

Un traffico senza fine

Così come risulta ad oggi mai contestato a Bossetti il sequestro di persona; pensate che tra le 18 e le 20 del 26 novembre 2010 sono passate in quella zona 118mila utenze telefoniche diverse e nessuno si è accorto che un rapimento in mezzo alla strada stava per accadere?

Il conflitto d’interessi

Un ultima cosa riguarda il lavoro straordinario ed importante che i Ris hanno svolto sul caso; un lavoro straordinariamente impegnativo in termini quantitativi e credo anche qualitativi. Ma anche qui una domanda va fatta; è giusto che il colonnello Lago, colui che firma la perizia sul corpo di Yara Gambirasio, diventi consulente della procura? Non sarebbe meglio che fosse un soggetto terzo a garanzia proprio di quel lavoro certosino fatto e prodotto dai Ris?

Il luogo del delitto

La bambina non è mai stata ripresa nel momento in cui usciva dalla palestra. Ci sono diverse telecamere vicino alla struttura e nessuna di loro ha ripreso Yara che usciva da quel luogo mentre c’è un video del suo ingresso. E se la bambina non fosse mai uscita ( viva) da li?

Il mistero degli abiti

Yara è stata rivestita prima di essere abbandonata ( ancora viva). Perché un killer che avrebbe voluto abusare di lei avrebbe avuto lo scrupolo di rivestirla? C’è quindi una ragione nell’averle rimesso indosso gli abiti. Il Killer non voleva far sapere che Yara fosse morta senza vestiti. E dove una ragazza si sveste? o nel bagno di casa sua o nello spogliatoio di una palestra. E Yara non era in casa quando è morta.

L’ora della morte

Una prima autopsia avrebbe indicato come orario di morte: “un ora dopo aver mangiato” quindi le 18.15 visto che la ragazzina aveva mangiato prima di uscire di casa. Le amiche però hanno detto di aver visto uscire Yara alle 18.30 dalla palestra. Il Pm ha successivamente ipotezziato che l’orario fosse sbagliato e che invece la ragazza fosse ancora viva quando è stata lasciato nel campo e che sia morta successivamente per ipotermia.

Questi dubbi non significano essere innocentista ma sono lacune di un semplice cronista che spera che finalmente quella povera ragazza di tredici anni possa riposare in pace avendo assicurato alla Giustizia «il» colpevole e non «un» colpevole «oltre ogni ragionevole dubbio». (Il24.it)