Violenza ostetrica a una 30enne dopo il parto: “Lei, senza dirmi nulla, mi ha infilato le dita nella vagina e nel retto”

16 Novembre 2022 - 13:33

Violenza ostetrica a una 30enne dopo il parto: “Lei, senza dirmi nulla, mi ha infilato le dita nella vagina e nel retto”

“Il parto è andato bene, ho avuto un buon ostetrico che mi ha aiutata molto. La violenza è stata successiva”. Melania (nome di fantasia, ndr) è una donna di trentotto anni che ci ha contattati per raccontare la sua storia e quello che le è accaduto quando ha messo al mondo suo figlio. “Ho scelto di rimanere anonima perché sono una libera professionista, e non mi va che i clienti sappiano ciò che mi è successo – spiega ai nostri microfoni – ma penso che sia importante non rimanere in silenzio”.

Melania è rimasta incinta nel pieno della pandemia. “A causa della pressione alta sono stata ricoverata in ospedale quando ero di otto mesi perché c’era il rischio di eclampsia, rischiavamo di morire sia io sia il bambino. Mi hanno somministrato dei farmaci molto forti che mi hanno fatto svenire durante la notte. Mi sono alzata per andare in bagno, ho perso i sensi e sono caduta, con tutti i rischi connessi al fatto che ero all’ottavo mese. Sono stata rimproverata per aver provato ad andare in bagno. La mattina dopo mi sono rifiutata di prendere le medicine: volevo prima parlare con il dottore e sapere se era normale quello che era accaduto, chiedere se il dosaggio era adeguato. Sono stata letteralmente presa a male parole dal personale sanitario: mi hanno detto che dovevo affidarmi e che se avessi voluto avere voce in capitolo mi sarei dovuta prendere una laurea in medicina”.

A nove mesi a Melania viene indotto il parto. “Mi hanno fatto l’episiotomia che non era necessaria, e sulla quale non ho avuto nessun consenso informato. Mi hanno tagliata senza dirmi che avrei avuto difficoltà nei rapporti, problemi di incontinenza e dolori per mesi. Nonostante questo, il parto è andato bene. La violenza per me è stata successiva. Quando mio figlio è nato ho continuato ad avere forti dolori per ore, piangevo e non riuscivo a stare ferma, né sdraiata. Hanno chiamato d’urgenza una dottoressa perché credevano avessi subito delle lacerazioni interne. Lei, senza dirmi nulla né avvisarmi, mi ha infilato le dita nella vagina e nel retto nello stesso momento. Mi sono sentita male, avevo i punti appena messi per l’episiotomia. Dopo avermi visitata mi ha detto: “Non c’hai niente che te piagni”.

Il figlio di Melania è nato in ipotermia. I medici hanno spiegato alla neomamma che avrebbe dovuto tenerlo a contatto con la sua pelle per scaldarlo, in modo da trasmettergli il suo calore. E così ha fatto, tenendolo nella camicia da notte per ore. “A me è stato indotto il parto alle 15 del giorno precedente, il bimbo è nato dopo 14 ore di travaglio alle 5 del mattino. Questa cosa del contatto è avvenuta alle 7. Dal giorno prima non mangiavo e non bevevo, nessuno si è premurato di portarmi liquidi per potermi reidratare. Sono stata a contatto con mio figlio fino alle 18 senza mangiare e senza bere. L’infermiere portava i pasti e li appoggiava sul tavolino, ma io non potevo alzarmi. Nessuno mi ha aiutato, dato che era periodo covid non c’erano nemmeno mia madre o mio marito a darmi una mano. A un certo punto dovevo andare in bagno ma non c’era nessuna infermiera che passava a vedere se avessi bisogno di qualcosa. Ho poggiato il bimbo nella culla e mi sono alzata: caso ha voluto che un’ostetrica è entrata proprio in quel momento. Si è arrabbiata moltissimo, mi ha detto ‘Che madre sei che lasci tuo figlio in ipotermia? Se iniziamo così chissà dove andiamo a finire‘. Io dovevo solo andare in bagno, mi sono alzata da sola perché nessuno si è degnato di aiutarmi”.

“In quel momento non hai la forza di rispondere a tono. Sei nelle mani di quelle persone che dovrebbero essere lì per aiutarti e non vuoi incattivirli. Hai paura di ritorsioni, una cosa sicuramente sciocca, ma d’altra parte gli stai affidando la vita tua e di tuo figlio e vuoi solo che vada tutto per il meglio”.

Melania non ha trovato assistenza nemmeno durante un’altra fase molto delicata e importante: quella dell’allattamento. “Ho i capezzoli quasi ciechi, il bambino aveva difficoltà ad attaccarsi. Successivamente ho scoperto che si tratta di un problema risolvibile con dei paracapezzoli, ma nessuno in ospedale me lo ha detto. Ho chiesto aiuto alle ostetriche, ma l’unica cosa che sono riuscite a fare è stato venire da me infastidite e strizzarmi forte i capezzoli, facendomi male, dicendo: ‘vedi che ce l’hai il latte, di che ti lamenti'”. Come fosse colpa mia se il bimbo non riusciva a nutrirsi”.

Una volta firmate le dimissioni, Melania ha seriamente valutato di denunciare la struttura. “Avrei voluto scrivere alla direzione dell’ospedale, noto a Roma soprattutto per il reparto di ginecologia e ostetricia, ma poi ho deciso di non farlo. Medici, infermieri e ostetrici si sarebbero spalleggiati tra loro e non sarebbe cambiato nulla. Avrei dovuto fare una denuncia in procura, ma so per mestiere che la violenza ostetrica è difficilmente provabile in tribunale. Se già con le denunce per stalking e violenza c’è difficoltà ad andare avanti nelle cause e ottenere giustizia, figuriamoci con questo”.

Dal parto di Melania è passato un anno e mezzo. Nonostante questo, rimane la rabbia per quanto accaduto, con il ricordo vivido delle parole che le sono state rivolte e del poco tatto col quale è stata trattata. “Mi è stata rovinata l’esperienza più bella e importante della mia vita a causa della malagestione di una struttura che dovrebbe essere lì per tutelarti. Capisco che per il personale siamo numeri, che magari gli serve la sala e hanno altre pazienti: ma hanno davanti a loro degli esseri umani in una posizione molto delicata, che vanno tutelati. Bisogna avere più empatia”.

Fonte: Fanpage