Uccisa per aver salvato i bimbi dai pedofili: la storia di Matilde
Sono le otto di sera passate nell’appartamento di via Melito a Torre Annunziata e Matilde Sorrentino è in cucina con il marito. Trilla il campanello, ad aprire la porta ci va proprio lei. “Matilde, chi è?”, ma invece della voce di sua moglie, Antonio sente il rumore sordo di un colpo di pistola, ripetuto un’altra volta. Il killer fugge veloce per le scale, mentre sul pianerottolo uno dei figli di Matilde giunge a soccorrerla, ma è troppo tardi. Un colpo al volto e uno al petto le hanno fermato il cuore. È il 26 marzo 2004: poche ore dopo, l’assassinio della piccola Annalisa Durante, morta ammazzata per sbaglio a 14 anni in un agguato a Forcella, catalizzerà l’attenzione dei media. Ma quella sera, la notizia dell’omicidio Matilde Sorrentino, la donna che a Torre Annunziata salvò i bambini dai pedofili, correrà in tutte le case.
Gli orchi del rione Poverelli
Tutto era cominciato sette anni prima, nel cosiddetto rione Poverelli, quadrilatero di case abbandonato al degrado, dove lo Stato è debole come le braccia delle donne che da sole crescono figli di padri uccisi dalla camorra. Era cominciato tutto lì, fuori dalla porta della scuola elementare di via Isonzo dove un giorno un bambino aveva detto: “Qui non ci voglio tornare, mi fanno del male”. Quel bimbo aveva paura di tutto, ma più di ogni cosa, di andare al bagno da solo. Tutti gli oggetti, le suppellettili e gli arredi erano per lui una minaccia. Poi si scoprì il perché. Altri bambini avevano manifestato problemi di apprendimento, aggressività, ansia e così qualche tempo dopo una mamma si presenta ai carabinieri per fare denuncia. È proprio lei, Matilde Sorrentino, mamma di Salvatore, tra i preferiti degli orchi. Al suo fianco Bianca e Pina, altre due mamme.
I bimbi legati nel sottoscala
Alla fine dell’anno scolastico, i carabinieri di Torre Annunziata arrestano ventuno persone con l’accusa di abusi sessuali nei confronti di bambini fra i cinque e i sette anni. Pochi mesi dopo inizia il processo per gli orrori della scuola del Poverelli. Sul banco degli imputati fanno la loro comparsa personaggi di spicco della criminalità locale, tra cui Francesco Tamarisco, ritenuto dai magistrati capo del clan camorristico dei ‘Nardielli’. Mentre l’aula del tribunale di Torre si trasforma nel buio sottoscala della scuola – dove i bambini venivano violentati legati a un pannello di legno – a decidere le sorti del processo è la testimonianza schiacciante di Matilde Sorrentino, eroina del rione, di Torre, di tutte le vittime.
Il processo
Nel giugno del ’99, esattamente due anni dopo, la corte condanna in primo grado 17 dei 19 imputati. Le pene più dure vengono inflitte a Pasquale Sansone, il bidello (15 anni di reclusione) e a Michele Falanga, titolare di un bar (13 anni), pene inferiori a tutti gli altri. Cinque anni dopo, nel 2004, quando tutto sembrava finito e chi aveva denunciato si sentiva ormai al sicuro, Alfredo Gallo, 27anni, saliva le scale del condominio di via Melito per saldare il conto in sospeso con mamma Matilde. Un anno dopo arriverà per lui la condanna all’ergastolo per quel delitto.
Matilde paga il suo coraggio con la vita
Gallo, però, era stato solo il semplice esecutore del delitto, il dito che aveva premuto il grilletto, insomma. Per arrestare il mandante ci vorranno altri 14 anni. Il 19 ottobre 2018, Francesco Tamarisco, boss dei narcos Nardielli, assolto in appello dall’accusa di pedofilia per i fatti del Poverelli, verrà finalmente arrestato per aver ordinato l’omicidio della povera Matilde.
L’epilogo
Oggi a Matilde Sorrentino, la mamma coraggio di Torre Annunziata, sono intitolati eventi e riconoscimenti. Quanto agli orchi del Poverelli, alcuni hanno scontato la loro pena e altri, invece, hanno avuto sorte diversa. A poche settimane dalla scarcerazione per decorrenza dei termini, il 26 e 27 luglio del 1999, il barista Falanga e il bidello Sansone finirono a terra crivellati di colpi, in due duplici agguati, puniti dal vero controllore del territorio. La camorra che non perdona – agli altri – la pedofilia.