Stupra e uccide una donna, va a cena e torna a violentare il cadavere: i giudici gli scontano la pena
Gilberta Palleschi era l’insegnante d’Inglese e segretaria regionale dell’Unicef che un sabato di cinque anni fa è scomparsa nel nulla a Sora, Frosinone. Era andata a fare jogging nel bosco. I familiari, non vedendola rientrare, denunciarono subito l’accaduto alle forze dell’ordine e le ricerche della 57enne scattarono immediatamente con l’ausilio di vigili del fuoco e unità cinofile. Ogni centimetro di quella zona lungo il fiume Fibreno fu passato al setaccio.
E dopo aver ritrovato un bracciale, un mazzo di chiavi, un paio di cuffiette per Ipad e una scheda sim, dopo ben 40 giorni di ricerche, il 10 dicembre, i soccorritori trovarono il corpo di Gilberta senza vita su indicazione di Antonio Palleschi, muratore di 43 anni del posto che nonostante il cognome non era suo parente e che ha poi confessato l’omicidio. Un omicidio brutale. Dopo averla aggredita alle spalle, averla gettata a terra e aggredita sessualmente, il 43enne l’ha chiusa ancora viva nel bagagliaio dell’auto, gettata in una scarpata e finita a colpi di pietra.
Poi l’omicida andò a pranzo con un’amico e il giorno dopo tornò nel luogo dove l’aveva abbandonata e oltraggiò il cadavere della vittima mentre i familiari e le forze dell’ordine la cercavano. Oggi, cinque anni dopo il terribile delitto, i giudici della corte di Cassazione hanno condannato Antonio Palleschi a vent’anni di carcere. Per il muratore l’ultima istanza del processo che lo vede colpevole per la morte della 57enne ha confermato lo sconto di pena.
In primo grado il giudice delle indagini preliminari aveva respinto la richiesta di perizia psichiatrica ritenendola “senza alcuna base scientifica” e condannato l’assassino di Gilberta Palleschi all’ergastolo. Ma successivamente, nel 2017, la Corte di Appello di Roma, gli ha riconosciuto la seminfermità mentale o vizio parziale di mente e ha ridotto la pena a vent’anni.
Sconto, questo, ora confermato dalla Cassazione, nonostante i tentativi del procuratore generale di Roma e dei parenti di Gilberta di far presente che la perizia “non ha formulato valutazioni di certezza diagnostica”. Ad avviso della Cassazione, “il dubbio sulla sussistenza del vizio di mente deve essere apprezzato in relazione al canone di garanzia ‘in dubio pro reo’, sì che non è necessario che ricorra la prova certa del vizio parziale di mente”, si legge su Repubblica. Grazie all’ipotesi del “discontrollo” dei suoi impulsi, l’omicida ha già chiesto la liberazione anticipata.
Fonte: news.caffeinamagazine.it