STOP AL REDDITO DI CITTADINANZA. Italiani costretti a restituire i soldi.
La Corte dei Conti ha presentato oggi al Senato il Rapporto 2019 sul coordinamento della finanza pubblica. La priorità per l’Italia, sottolinea il documento, resta la riduzione del debito pubblico, essenziale per la stabilità finanziaria del Paese.
Tuttavia, “il permanere di condizioni di incertezza sulla possibilità che nel medio termine si possa imboccare un sentiero decrescente rischia di incidere negativamente sulle stesse prospettive di crescita”. In questo quadro, è fondamentale la “tenuta dei target concordati con la Ue”, come rimarcato in mattinata anche dalla Banca centrale europea, secondo cui l’aumento dello spread rappresenterebbe la dimostrazione del fatto che “le regole vanno rispettate”.
Il documento si sofferma su due misure centrali al contratto di governo, il reddito di cittadinanza e quota 100. Riguardo al provvedimento del Movimento 5 Stelle la Corte sostiene che il suo finanziamento, che richiede un incremento della spesa pubblica, sia “motivo di preoccupazione per gli equilibri di bilancio di medio termine, date le condizioni di elevato debito pubblico”.
La decisione di “finanziare la norma senza corrispondenti tagli di uscite correnti né incrementi permanenti di imposte” rappresenta un problema, nonostante l’introduzione della misura, d’altro canto, sia anche un passo avanti per le politiche di protezione sociale in Italia e una reale risposta di sostegno economico ai cittadini afflitti da povertà. Riconosciuta l’intenzione del provvedimento, la Corte tuttavia considera anche il rischio di disincentivo nella ricerca di un impiego per i giovani: inoltre, “resta la preoccupazione che in un contesto come quello italiano, in cui è elevata la quota di economia sommersa e sono bassi i livelli salariali effettivi, il reddito possa scoraggiare e spiazzare l’offerta di lavoro legale”.
I dubbi su Quota 100
A pesare sui conti pubblici c’è anche uno dei cavalli di battaglia della Lega, quota 100. “In termini di incidenza sul Pil, la spesa pensionistica aumenta dal 15,3% al 15,9%”, scrive la Corte, ricordando che il Def 2019 prevedeva un aumento delle uscite per le pensioni da 296 miliardi nel 2018 a 305 nel 2022. Anche in questo caso, malgrado si ammetta la necessità di “un maggior grado di flessibilità del requisito anagrafico di pensionamento”, viene anche precisato che “a riguardo sarebbe necessaria una soluzione strutturale e permanente, più neutra dal punto di vista dell’equità tra coorti di pensionati e tale da preservare gli equilibri e la sostenibilità di lungo termine”.
Sulle pensioni, continua il rapporto, sarebbe importante definire “un quadro di certezza e stabilità normativa che dovrebbe essere in grado di offrire una ‘sostenibile normalità’ alle nuove generazioni, ai lavoratori più anziani, alle imprese, agli investitori internazionali interessati ad avviare attività economiche nel nostro Paese per i cui piani industriali rileva la prospettiva degli oneri sociali”. Le misure, si precisa in conclusione, dovrebbero tenere conto tanto delle esigenze delle generazioni presenti quanto di quelle future. (Fanpage)