“Smart working per dipendenti pubblici? Una vacanza pagata”. Scoppia la polemica
Una dichiarazione che sta già facendo discutere, quella di Pietro Ichino. Il giuslavorista ed ex parlamentare, parlando dello smart working per i dipendenti pubblici, si è infatti espresso così: «Nella maggior parte dei casi è stata una vacanza pressoché totale, retribuita al 100%».
Intervistato da Libero, Pietro Ichino ha illustrato quello che, a suo giudizio, si sarebbe dovuto fare durante il lockdown: «Si sarebbe potuto estendere al pubblico il trattamento di integrazione salariale, cioè la cassa integrazione che per i dipendenti pubblici non esiste, visto che il datore di lavoro è lo Stato, e destinare il risparmio ad altri settori.
Si potevano premiare medici e infermieri in prima linea, oppure fornire pc agli insegnanti, costretti a fare la didattica a distanza con mezzi propri. Sarebbe utile se il ministero della Pubblica Amministrazione fornisse almeno un quadro attendibile di quanti dipendenti pubblici si sono davvero attivati per fare smart working e quanti no».
A stretto giro di posta, è arrivata la replica di Maurizio Petriccioli, segretario della Cisl Funzione Pubblica:
«Francamente, trovo puramente ideologica l’opposizione a una stabile implementazione su base volontaria di questo nuovo modo di organizzare il proprio lavoro.
Avere milioni di persone che lavorano per obiettivi e da remoto, con meno impatto ambientale, permette di dedicare più tempo ad altre attività, con indubbi benefici economici per le amministrazioni, per i lavoratori e per l’intera collettività.
Col progressivo ritorno alla normalità, le amministrazioni potranno e dovranno individuare i servizi che possono essere definitivamente erogati con lo smart working, riportando poi questa materia nella piena disponibilità della contrattazione di luogo di lavoro e garantendo distanziamenti di sicurezza e dispostivi di protezione agli operatori che invece torneranno negli uffici ad operare in presenza».
Fonte: Leggo.it