Rapina villa Lanciano, la mamma del bandito: «E’ stato lui? Punitelo. Deve soffrire come ha fatto soffrire quelle persone»
«È stato lui? È stato mio figlio? Punitelo, deve soffrire come ha fatto soffrire quelle persone». La madre di Alexandru Bogdan Colteanu è più arrabbiata che dispiaciuta quando, dalla questura di Caserta, l’avvisano che suo figlio è sospettato di essere il quarto componente della banda della notte di orrore di Lanciano. Tre ore dopo, quando ormai è calata la sera, Alexandru esce dalla questura. Magrolino, un graffio sul collo, spaesato. Si rannicchia sul sedile dell’auto della polizia. Sembra piccolo, e infatti ha appena 23 anni. La faccia di un bambino e l’espressione indifferente. Sembra innocuo. Per lo Sco è una belva. Una belva sanguinaria che per ore ha tenuto sotto minaccia i coniugi Martelli nella loro villa di Lanciano. È lui il più violento, lui avrebbe tagliato il lobo dell’orecchio della signora Niva Bazzan. Violento e veloce a scappare. Mentre i suoi complici finivano dentro, lui fuggiva a 400 chilometri di distanza. Credeva di essere lontano. Credeva di avercela fatta. Perché è opinione comune, tra i criminali, che nel Casertano, e precisamente a Casal di Principe, ci si possa nascondere a lungo e impunemente. Perché lì, nell’Agro, si sono nascosti per anni i boss dei Casalesi e i loro più feroci assassini. Ma in dieci anni è tutto cambiato e neanche i delinquenti del posto riescono a nascondersi a lungo. Alexandru era convinto del contrario tant’è che ancora aveva addosso l’orologio della vittima e stava per piazzarlo a un ricettatore del posto quando gli uomini della squadra mobile di Caserta, diretti da Filippo Portoghese, lo hanno individuato.
La fuga
La fuga di Alexandru è finita davanti allo stadio dell’Albanova, un tempo la squadra di calcio del capoclan Sandokan Schiavone che come Escobar amava il pallone e voleva essere protagonista di quel mondo. Ha provato a scappare Alexandru, ma lo Sco gli stava addosso dal momento in cui ha lasciato Lanciano. E la squadra mobile di Caserta stava in allerta da due giorni. La polizia lo ha aspettato come il predatore attende la preda che rientra nella tana. È stato poco avveduto, la macchina con la quale si è mosso è stata intercettata per tempo con il gps. E, da una fonte confidenziale, ieri pomeriggio è arrivata la soffiata giusta. Alexandru a Casal di Principe ha qualche amico. Il riconoscimento da parte delle vittime Anche il 25enne, come il resto della banda, indossava un passamontagna. Ma quella voce, priva di inflessioni idiomatiche straniere, potrebbe essere riconosciuta dalle vittime. Pensavano fosse italiano e questo aveva fatto sospettare che a capo della banda, composta dai fratelli Costantin Aurel e Ion Cosmin Turlica, e dal cugino Aurel Ruset, tutti poco più che 20enni, ci fosse un pugliese. Invece il «cap» è nato in Romania come gli altri, anche se viveva a Frosinone da tempo. Contro di lui ci sono gli elementi raccolti dalla seconda divisione dello Sco, coordinata da Alfredo Fabbrocini, e quell’orologio che ha preso ai Martelli dopo averli massacrati. Quando ieri ha capito che era finita, ha buttato via l’orologio, un Breitling, ma la polizia lo ha recuperato. È la prova del suo coinvolgimento. Con la sua cattura il cerchio è quasi chiuso. I tre complici sono stati bloccati mercoledì grazie a un filmato. Manca all’appello un quinto componente: sarebbe una donna. Non sono mancate le reazioni dal mondo politico. «Preso anche il quarto rapinatore straniero infame, pare il tagliatore di orecchie, bene», ha twittato Matteo Salvini. «Grazie alla polizia», il commento del vicepresidente del Senato, Calderoli. «Un’attività congiunta tra Sco e polizia ci ha consentito di catturarlo», sono state le parole del questore di Caserta, Antonio Borrelli, mentre Alexandru «la belva» partiva in direzione del carcere. Peraltro deve scontare una pena di un anno per una rapina commessa quando era minorenne. Per ora risponde di ricettazione, ma il cambio di imputazione potrebbe arrivare a momenti: rapina, sequestro, lesioni gravissime. Per ora Alexandru si difende: «Non sono stato io». (Leggo)