La Consulta, con sentenza depositata, ha ritenuto fondate le relative questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Lucca. Ovvero che nella procreazione assistita, anche la madre non
biologica può riconoscere il figlio dalla nascita. Per la procreazione medicalmente assistita legittimamente praticata all’estero è incostituzionale il divieto per la madre intenzionale di riconoscere come proprio il
figlio. Inoltre, il mancato riconoscimento del figlio pregiudica “il suo diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale
da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. La dichiarazione di illegittimità costituzionale sul divieto del riconoscimento del figlio con
Pma per la madre intenzionale si fonda su due rilievi: la responsabilità che deriva dall’impegno comune che una coppia si assume nel momento in cui decide di ricorrere alla Pma per generare un figlio,
impegno dal quale, una volta assunto, nessuno dei due genitori, e in particolare la cosiddetta madre intenzionale, può sottrarsi. Il secondo rilievo è che la centralità dell’interesse del minore,
affinché l’insieme dei diritti che egli vanta nei confronti dei genitori valga, oltre che nei confronti della madre biologica, nei confronti della madre intenzionale. La Corte costituzionale ha ribadito, in linea con i
propri precedenti, che non sussistono ostacoli costituzionali a una eventuale estensione, da parte del legislatore, dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita anche a nuclei familiari diversi da
quelli attualmente indicati, e nello specifico alla famiglia monoparentale. Con l’attuale legge, in ogni caso la Consulta, ha considerato non irragionevole né sproporzionato non consentire alla donna singola di accedere alla procreazione medicalmente assistita (Pma). Fonte tgcom24.