«Penso di sapere il perché…», sbotta Elisa. Lei, come tante ragazze e ragazzi, da giovane ha mosso i primi passi nel mondo del lavoro facendo la barista. Così, terminati da poco gli studi, decide di rispondere all’annuncio di lavoro della signora Cavallaro, quando all’epoca gestiva un altro locale nel cuore del centro storico rodigino. «Ho conosciuto la signora Maura più di dieci anni fa, quando verso fine estate ha accettato di farmi un colloquio di lavoro come barista – racconta – Le spiegai che non avevo alcuna esperienza in quel campo, ma mi disse che l’avrei fatta con lei. Dopo avere fatto il tradizionale giorno di prova decise di assumermi senza un contratto, chiarendomi sin da subito, però, che non voleva che io lasciassi il lavoro prima della fine della stagione invernale. Pensai che, giustamente, non volesse rimanere senza personale durante il periodo natalizio, in cui la clientela aumenta molto. Inizialmente andò tutto bene: un po’ alla volta mi aveva insegnato alcune cose basilari, come fare il caffè e servire ai tavoli. Come detto, però, non avevo un contratto, solo un foglio in cui c’era scritto che quello era il mio giorno di prova, anche se in realtà erano già passati alcuni mesi dalla mia “assunzione”». E per i pagamenti? «Io mi scrivevo le presenze, ho provato a tenere il conto di quanto avrebbe dovuto pagarmi, ma quel poco che ho percepito me lo dava quando voleva lei – risponde Elisa – Mi pagava in contanti, non mi mostrava i conti che lei si era fatta. Inizialmente erano otto euro all’ora, ma in realtà erano molti meno. Quando poi ero io a chiederle lo stipendio, mi rispondeva che aveva problemi familiari e me li avrebbe dati più avanti. In circa sei mesi che sono stata lì, lavorando nei weekend, mi avrà dato si e no due o trecento euro».
Con il protrarsi di una situazione del genere cosa hai deciso di fare?
«La vicenda non si è mai risolta: mi diceva sempre che aveva dei problemi familiari, così le ho mandato una lettera in cui le chiedevo di rispettare almeno gli accordi che avevamo preso. Per tutta risposta lei mi ha scritto a sua volta una lettera che tengo ancora dall’epoca, nella quale mi rinfacciava di non esserle stata riconoscente per avermi insegnato un mestiere, che quando ho deciso di lavorare lì non avevo un fucile puntato alla testa e che avrei dovuto essere più sensibile verso i suoi problemi personali. Morale della favola: non ho visto un euro, nonostante concludesse la sua lettera dicendomi che avrebbe saldato il suo debito dopo avere parlato con il commercialista».
Sai di altre persone che hanno avuto gli stessi problemi?
«So di non essere stata l’unica. Anche una mia amica e altre persone che conosco hanno avuto la mia stessa esperienza: alla fine se ne sono sempre andati via perché non venivano pagati».
Nei giorni scorsi Maura Cavallaro diceva che i giovani non hanno voglia di lavorare…
«Mi sono sentita offesa per quelle parole. Non è assolutamente vero che i giovani non hanno voglia di fare: non c’ è fiducia, non ci viene data la possibilità di metterci in gioco. Io credo, e questo discorso vale per tutti, non solo per i giovani, che se una persona venisse pagata per la sua effettiva prestazione lavorativa, quella signora non si troverebbe senza personale. Quando vieni pagato per quello che fai provi soddisfazione e lavori anche meglio».