L’incubo di Alberto Angela, la rivelazione choc: “Sono stato rapito, ho rischiato la vita”
“Nel 2002 ho rischiato di essere ucciso. Sono stato sequestrato e picchiato da criminali nel Niger. Ho temuto davvero di non rivedere più mia moglie”.
Così Alberto Angela ricorda in un’intervista al settimanale DiPiù quanto è accaduto diciotto anni fa mentre si trovava in Africa per girare una puntata di Ulisse, il piacere della scoperta, uno dei suoi programmi di divulgazione scientifica che andava in onda su Rai 3 e da due anni è approdato il sabato sera su Rai 1 vincendo con successo la sfida degli ascolti.
Un’esperienza drammatica vissuta in Niger dove nel febbraio del 2002 è stato picchiato e rapinato insieme a sei operatori da tre banditi armati.
Per fortuna nessuna ferita grave per la troupe, ma la vicenda ha lasciato un segno: “Ti porta a fare un bilancio e a riflettere sul valore della vita, e ad amarla poi di più” aveva detto all’epoca Alberto Angela al suo rientro a Roma. “Quindici ore da Arancia meccanica, da condannati a morte.
Siamo stati picchiati, minacciati, derubati di tutto: attrezzature, soldi, fedi nuziali, orologi, cellulari, bagagli. Sempre sul filo di una tortura psicologica” aveva raccontato appena sbarcato all’aeroporto di Fiumicino.
“Non abbiamo sconfinato, eravamo su un percorso ben noto, che ci era stato assicurato tranquillo, frequentato fino al giorno prima da turisti, tra Algeria e Niger; appena in territorio nigerino, dopo una cinquantina di chilometri in pieno deserto, si è materializzato un veicolo velocissimo da cui sono scesi tre individui, con turbante e occhiali da sole, kalashnikov e pistole alla mano, intimandoci di arrestarci”.
Sembravano militari, invece erano banditi, spiegava Angela. “Dopo l’assalto sono seguite quindici ore di terrore: sotto tiro, calci nel costato, pugni alla tempia, schiaffi a mano aperta per sfondarti i timpani, interrogatori con urla e violenze psicologiche, uno alla volta, senza capire cosa volessero.
Prima ci chiedevano hashish, poi alcol, soldi, ci domandavano se fossimo spie. Giocavano con noi, terrorizzandoci”. Una tortura che si è conclusa il mattino seguente con la liberazione e il ritorno a casa.
Fonte: Repubblica.it