“La sua paura ci divertiva”. La piccola Graziella è morta a 8 anni, stuprata e bruciata viva dal branco
Un borgo alle pendici delle colline baresi, una giornata di fine estate, un gruppo di ventenni ‘difficili’ che ciondolano senza costrutto, una bambina bellissima dagli occhi neri. Sono i protagonisti di una vicenda di crudeltà e inedia, una vicenda che ha il più terribile dei moventi: l’assenza di movente.
Sono le 19 e del 19 agosto 2000. La piccola Graziella Mansi sta giocando vicino al banco delle noccioline che il nonno tiene in strada nei pressi del castello medioevale, a pochi passi dalla pineta, nella lingua terra dove Andria si incrocia con la montagna. Fa caldo, è una giornata afosa e, quando ha sete, Graziella va a riempire la bottiglia alla fontanella vicina, dopo venti minuti, però, non è ancora tornata. È strano, certo, ma Graziella ha otto anni, è una bimba sveglia e vivace, potrebbe essersi fermata a parlare con qualche parente o conoscente. Due ore dopo la situazione è tesissima: il papà, il nonno e una sfilza di conoscenti gridano il nome di Graziella nell’oscurità della pineta vicina. È buio, è tardi, in qualsiasi posto si trovi Graziella a quell’ora, non è un bel posto.
Il corpo trovato nel bosco
È ormai notte quando urla strazianti annunciano il ritrovamento: Graziella non è più una bimba, è un corpo carbonizzato incollato su un letto di tizzoni e sterpaglie bruciacchiate nel boschetto di Castel del Monte. Finiscono le ricerche, comincia la lunga notte delle indagini con poliziotti che fanno domande su tutto e a tutti. Domande che mettono a disagio, sconcertano, feriscono, soprattutto perché quella bambina è stata arsa viva.
Volevano violentarla
È solo questione di tempo prima che, in attesa del referto dell’autopsia, si pronunci la parola ‘pedofilia’, con tutto lo strascico di infamia che si porta dietro per una comunità una ipotesi del genere. Perché, chi ha rapito Graziella, aveva un intento, probabilmente quello di costringerla a subire degli abusi. Un primo esame del corpicino mostra una lesione vaginale, sebbene le mutandine risultino intatte. È possibile, dunque, che Graziellina sia stata violentata o che sia stata vittima di un tentato stupro.
Il branco
È a questo punto che il profilo di quel Pasquale Tortoraappare sempre più congruente con quello dell’assassino. Ventenne parcheggiatore abusivo davanti alla bancarella dei Mansi, Tortora è uno che Graziella la guardava spesso, pur senza destare preoccupazione. Pasquale, lo schernivano gli amici, era ‘innamorato’ di Graziella. “Mi piaceva, era bella” dice agli inquirenti che lo torchiano, poi crolla, si libera: “L’ho portata nel bosco con la scusa di farle vedere un cagnolino, le ho detto fuoco, si è come sciolta”. Sembrerebbe che il caso sia chiuso, ma invece no, il quadro si allarga, si deforma, diventa incomprensibile.
Bruciata viva
Tortora chiama in correità altri quattro ragazzi di Andria, Michele Zagaria, Giuseppe Di Bari, Domenico Margiotta e Vincenzo Coratella, tutti di età compresa fra i 18 e i 20 anni. Cinque uomini contro una bambina, il branco, insomma che prende di mira una creatura innocente, la tormenta, la molesta, le dà fuoco. Una mostruosità che non ha spiegazioni, è solo “l’impresa senza logica di cinque balordi che hanno deciso, per gioco, di bruciare una bambina” come dice il pm Francesco Bretone. Interrogati separatamente, I presunti complici provano a negare, ma alla fine crollano in due:
“È entrato nel bosco, teneva la bambina – dice uno dei complici – A quel punto, noi siamo saltati fuori. Graziella aveva paura e questo ci faceva divertire ancora di più. Volevamo torturarla un po’, non volevamo violentarla. Poi, è uscita l’idea del fuoco. Ci pensavamo da giorni, a giocare nel fuoco. Bevevamo birra e ci esaltavamo a giocare, a tenerla. Abbiamo raccolto sterpaglia, intorno, abbiamo legato la bambina. E il fuoco l’ ha coperta”.
Suicida uno degli assassini
Scatta il rinvio a giudizio con l’accusa di sequestro, sevizie su minore e omicidio premeditato, perché, come messo a verbale, i ragazzi ci pensavano “da tempo” a ‘giocare con il fuoco’. Di fronte di un crimine così efferato i giudici pronunciano un verdetto esemplare: ergastolo con isolamento diurno, il massimo della pena per tutti gli imputati del processo. Trent’anni, invece, è la pena inflitta a Pasquale Tortora, giudicato prima in abbreviato. La mamma di Graziella sviene durante la lettura della sentenza, il marito le corre accanto, le famiglie degli imputati imprecano. La storia è chiusa.
L’epilogo
Otto anni dopo, Vincenzo Coratella, 27 anni, si impicca alla branda della cella con la corda dell’accappatoio. “La mia vita è finita”, aveva confessato alla mamma. Oggi, la memoria della bimba di Andria è affidata a pochi monumenti nel comune pugliese, una lapide posta accanto alla fontana di da Castel del Monte e un parco di periferia, dove, tra rifiuti e sterpaglie, si perde il nome della piccola Graziella.
Fonte: Fanpage.it