I primi 100 giorni del Governo. Vitalizi, pensioni e sprechi: le 3 promesse dimenticate da Di Maio

14 Settembre 2018 - 11:31

I primi 100 giorni del Governo. Vitalizi, pensioni e sprechi: le 3 promesse dimenticate da Di Maio

I primi 100 giorni del Governo. Vitalizi, pensioni e sprechi: le 3 promesse dimenticate da Di Maio

Adesso che i fatidici cento giorni della luna di miele giallo-verde sono passati, è arrivato il momento di chiedere a Luigi Di Maio – già candidato premier e attuale vicepresidente del Consiglio – che fine abbiano fatto le nove pagine che lui sventolava in piazza del Popolo la sera del 2 marzo scorso. Non è una domanda oziosa, perché in quelle nove pagine non c’erano gli appunti per il suo ultimo comizio prima del voto, ma qualcosa di molto più importante. Vi presento – disse quella sera, con il tono del presentatore che sta introducendo sul palco un ospite a sorpresa – il primo decreto legge del primo Consiglio dei ministri del Movimento 5 Stelle». Naturalmente eravamo tutti curiosi di sapere cosa ci fosse scritto in quei fogli che lui mostrava al pubblico. E lui lo rivelò: «E’ un decreto in tre punti. Al primo punto dimezziamo lo stipendio ai parlamentari della Repubblica! (fragoroso applauso della piazza). Al secondo punto togliamo i vitalizi ai politici! (altro lungo applauso). E al terzo punto di questo decreto tagliamo 30 miliardi di sprechi e privilegi e li rimettiamo in aiuti alle famiglie che fanno figli, a chi perde il lavoro e ai pensionati! (coro entusiasta: “O-ne-stà, o-ne-stà”)». Comprensibilmente soddisfatto di quella calorosissima reazione, il leader del Movimento volle aggiungere anche i dettagli, alla sua promessa solenne. Specificando quanto era lungo il testo del provvedimento e quanto tempo sarebbe occorso per renderlo operativo: «Queste sono nove pagine, nove pagine di decreto legge. Bastano 20 minuti di Consiglio dei ministri per approvarlo».

Le Promesse

Una grande mossa a effetto, paragonabile all’indimenticato “contratto con gli italiani” di berlusconiana memoria. Ma le cose, purtroppo per Di Maio, sono andate diversamente. Quel decreto non è stato approvato né al primo, né al secondo né al terzo Consiglio dei ministri. Non è mai stato messo all’ordine del giorno. Anzi, non se n’è proprio più parlato, dal giorno del giuramento del governo Conte. Quanto alle tre promesse, nessuna di esse è stata mantenuta. Lo stipendio dei deputati – il tema che i pentastellati hanno cavalcato per cinque anni, con i loro maxiassegni di restituzione, le foto in piazza Montecitorio e le note spese pubblicate su Internet – è ancora quello della scorsa legislatura (5.346 euro netti, più 3503 di diaria, più 3690 per “spese di mandato”, più 1400 per telefoni e trasporti, totale 13.939 euro, ovvero 15 volte il salario medio e 31 volte la pensione minima). Adesso che i cinquestelle hanno i numeri per ridurre queste cifre, e il presidente della Camera è finalmente uno dei loro, l’argomento è misteriosamente scomparso dai radar.
Secondo punto: i vitalizi ai politici non sono stati tolti, semplicemente perché non era possibile toglierglieli. Sono stati ricalcolati, con una contestatissima delibera che è ad altissimo rischio di annullamento, e che vale per gli ex deputati ma non per gli ex senatori: niente male come pasticcio. Ma il vero mistero riguarda il terzo punto. Se è vero che Di Maio aveva individuato già a marzo «30 miliardi di sprechi e privilegi» da tagliare, e che aveva già steso il testo del decreto legge, perché non ha ancora rivelato al ministro Tria e al presidente Conte dov’è questa montagna di burro scaduto nella quale può finalmente affondare il coltello del governo giallo-verde? Perché la tiene nascosta, quella lista, invece di tirarla fuori per distribuire, come aveva promesso, «aiuti alle famiglie che fanno figli, a chi perde il lavoro e ai pensionati»? Se davvero il giovane Di Maio è davvero così diverso da chi lo ha preceduto, dovrebbe dare una risposta innanzitutto a chi lo ha votato. Potrebbe, certo, cavarsela dicendo che ha dovuto fare un’alleanza – pardon, un contratto – con la Lega. Ma questo vorrebbe dire, per esempio, che è stato il cattivo Salvini a mettere il veto al dimezzamento degli stipendi dei parlamentari. E vorrebbe anche dire che una volta entrati nel Palazzo i seguaci di Beppe Grillo hanno disinvoltamente tradito la bandiera della loro battaglia contro la casta. E’ andata così? Sarebbe molto interessante saperlo. I cento giorni sono passati: è arrivato il momento di rivelare dove sono finite quelle nove pagine, o se quelli erano solo dei fogli bianchi, buoni solo per incassare applausi e voti. (Speciale di Repubblica)