Le stime Istat parlano di 50.724 persone in Italia senza fissa dimora, ma “noi che operiamo nelle zone intorno alla Stazione di Termini ne abbiamo contate 20mila di persone senza dimora”.
L’urgenza ora è quella di trovare dei luoghi separati dai centri di accoglienza, dai dormitori, dalle strutture diurne e dalle mense in cui i senza tetto che presentano sintomi o sono positivi al tampone possano trascorrere la quarantena. Spazi isolati che non siano i marciapiedi delle strade.
Le misure contenute nel D.P.C.M. dello scorso 8 marzo sono chiare, lapalissiane già dal titolo, “io resto a casa”, impongono una riscoperta del senso di comunità, perché “da sole” – come spiegato in questo articolo – “non servono a nulla”.
Mense e dormitori sono luoghi affollati, nei quali la distanza minima e le norme igieniche, con tutta la buona volontà di ospiti e operatori, non possono essere rispettate al meglio.
I centri di accoglienza spesso operano all’interno di fitte reti nazionali, specie in casi emergenziali come in questi giorni. “Il giorno dopo che la Lombardia aveva chiuso ci hanno telefonato da Bari chiedendoci se lì avessimo strutture in cui ospitare un grosso gruppo di senzatetto che era sceso fino al Sud nella speranza che il focolaio non arrivasse lì.
I focolai fanno chiudere i centri di accoglienza, loro lo sanno”. Snellire la burocrazia, sveltire l’ assegnazione di ulteriori spazi per assicurare eventuali quarantene ed evitare assembramenti nei centri di accoglienza è prioritario. Stavolta o tutti o nessuno, come si è detto. Fonte: Fanpage.