Il Coronavirus in pochi giorni sta scardinando punti fermi della nostra cultura, cambiando le nostre abitudini e le regole sulle quali abbiamo basato la nostra crescita, soprattutto professionale. Alessio De Giuseppe si è laureato così, su WhatsApp. Con uno scambio di messaggi con il suo professore, con il quale nel corso dei suoi tre anni di studi all’Università di Bologna ha costruito uno stretto rapporto fiduciario basato sulla stima reciproca.
Niente discussione della tesi, consegnata come da indicazione entro i tempi stabiliti. Niente tremolio di gambe di fronte alla commissione, niente emozione di mostrare la realizzazione del suo percorso a parenti e amici. Alessio è bolognese, ha 22 anni, lavora già come giornalista per una tv locale romagnola e il 4 marzo è diventato il primo studente italiano a laurearsi su WhatsApp. Da pochi giorni è dottore in Scienze della Comunicazione.
Laureato con un messaggio?
«È proprio andata così, la discussione era prevista per il 4 marzo. Ho consegno la tesi attraverso i canali formali dal sito dell’Unibo il 21 febbraio convinto che si procedesse normalmente. A cavallo tra febbraio e marzo sono arrivate le notizie sulle scuole chiuse. Ma dall’ateneo ci dicevano solo che fosse chiuso, non avevamo notizie riguardo la discussione della tesi».
Poi cosa è successo?
«Una mia fortuna è quella di aver un rapporto confidenziale con il professore Andrea Ropa. Ho chiesto a lui e mi ha risposto che avrebbero fatto loro in commissione. Mercoledì ero in redazione a lavorare e mi arriva il messaggio. Mi sono girato verso i miei colleghi e ho detto: ragazzi, mi sono laureato».
Non ha discusso la tesi?
«No, l’ho semplicemente consegnata. Pare che a livello legale per le lauree triennale sia anche previsto che si possa evitare il passaggio della discussione».
Di cosa parlava?
«Il titolo è “Così ho raccontato la notizia di Sinisa Mihajlovic”. Ho semplicemente raccontato come ho vissuto la vicenda a livello giornalistico a contatto con la squadra. I primi sentori, l’annuncio e le reazioni dello spogliatoio».
È dispiaciuto di non averla discussa?
«Sarebbe stata una soddisfazione. Far vedere a tutti ciò che ho fatto in questi tre anni, ai miei genitori, ai miei nonni, che hanno fatto sacrifici per farmi studiare. I nonni, che vivono nel Salento, avevano anche prenotato un volo per venire a seguirmi. Fortunatamente Ryanair li ha rimborsati».
Come l’ha vissuta?
«Da giornalista avevo subito capito che fosse una notizia incredibile per la sua unicità. Certo c’è un retrogusto amaro e penso anche i miei compagni di corso. Non c’è stata una bottiglia stappata, mi sono sentito vuoto, spaesato. Sapere che avevi raggiunto quel traguardo e non poterlo festeggiare… mi sono sentito un po’ incompiuto. Ma rispetto a ciò che sta accadendo è una cosa che va messa in preventivo».
È successo anche ad altri?
«Anche ai miei compagni di corso è andata così. Semplicemente loro non hanno un rapporto confidenziale e comunicano via mail. Molti non sanno ancora l’esito. Ora dobbiamo capire se ci sarà la proclamazione, era prevista per il 15 marzo ma vista la situazione sicuramente non si farà».
Niente corona di alloro in testa?
«Per ora la corona me l’hanno mandata via WhatsApp i miei amici per prendermi in giro».
Come festeggerà viste le misure del governo?
«Non lo so. Con mia sorella, i miei genitori e i parenti a Bologna abbiamo fatto una cena a casa la sera del 4. Con gli amici aspettiamo che si sistemi la situazione».
Com’è la situazione a Bologna?
«Pesante. Non voglio parlare di psicosi, è inevitabile essere preoccupati. Non ho amici che hanno contratto il virus. Ma essendo a contatto con le notizie, leggendo che l’assessore alla Sanità della Regione è positivo, che ci sono 700 casi, è normale essere preoccupati. Per quarantena preventiva in redazione siamo rimasti in tre su dodici, tutti colleghi che erano presenti alle conferenze stampa in Regione».
È spaventato?
«Spaventato no. Tutto intorno ti induce a preoccuparti. Con gli amici non usciamo la sera da almeno un mese. È tutto chiuso, discoteche, locali. Ci arrangiamo con qualche aperitivo o cene a casa».
Le hanno scritto in tanti?
«Sì, la storia è girata a Bologna. Anche l’assessore alla sicurezza di Bologna e l’ex rettore mi hanno fatto i complimenti, soprattutto per la calma con cui ho vissuto la vicenda. L’ho presa nella sua unicità. C’è di peggio in questo momento». (Leggo)