Claudio, colpito alla fronte da un proiettile vagante: vittima di mafia a 11 anni
Il 1986, a Palermo, fu un anno durissimo. La città era in piena crisi economica, i negozi e i ristoranti vuoti, i cantieri fermi. Il pool antimafia aveva spazzato via il cartello di famiglie che aveva finanziato, con i proventi del traffico di droga, il clamoroso boom edilizio, lasciando per strada il 40% della forza lavoro nel settore. Dalle gabbia dell’aula bunker dell’Ucciardone, dove andava in scena il maxi-processo, i mamma santissima di Cosa nostra facevano più paura di sempre, proprio perché, come animali in gabbia, erano incattiviti e vendicativi. Ma fu in autunno che quell’anno triste divenne l’annus horribilis della storia di Palermo. Era un martedì di ottobre a San Lorenzo, borgata rurale nella zona nord di Palermo.
La vicenda
Davanti all’edicola in via Fattori, nella larga strada alle pendici delle colline, un paio di ragazzini di una decina d’anni ciondolavano tra i marciapiedi e le auto, tirando qualche calcio a un pallone. La strada era tranquilla come doveva esserlo uno dei punti nevralgici dello spaccio di droga: niente furterelli, niente confusione, niente ‘sbirri’. Mentre giocavano, il rombo di motore annunciò l’attivo dall’incrocio di una grossa motocicletta. A pochi metri da loro il centauro si fermò senza togliersi il casco: ‘Claudio!’, chiamò. Sentendo il proprio nome uno dei due ragazzini si voltò, vide un braccio che si alzava all’altezza della sua testa, poi più nulla.Claudio cadde a terra con un proiettile in mezzo alla fronte bianca. A questo era arrivata la guerra di mafia a Palermo, all’omicidio di un bambino di 11 anni, eliminato come una pedina qualunque in un regolamento di conti tra famiglie rivali, ucciso da un adulto, come un adulto. L’impressione fu enorme a San Lorenzo. Il piccolo era il figlio di Graziella Accetta, la proprietaria dell’edicola in via Fattori, e di Antonio Domino, ex dipendente della SIP e titolare di una ditta di pulizie. (Fanpage)