CIRANO DEVE MORIRE: AL TEATRO BELLINI DAL 16 AL 21 APRILE

11 Aprile 2024 - 18:51

CIRANO DEVE MORIRE: AL TEATRO BELLINI DAL 16 AL 21 APRILE

CIRANO DEVE MORIRE: AL TEATRO BELLINI DAL 16 AL 21 APRILE

 

Cirano deve morire è un adattamento per tre voci del Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand di Leonardo Manzan, Rocco Placidi, con Paola Giannini, Alessandro Bay Rossi, Giusto Cucchiarini, per la regia di Leonardo Manzan. Uno spettacolo concerto con testi e musiche originali che trasforma la poesia di fine ’800 in feroci versi rap. Rime taglienti e ritmo indiavolato affrontano in

modo implacabile il tema della finzione attraverso il racconto di uno dei più famosi triangoli d’amore della storia del teatro. Due amici e la donna di cui entrambi si innamorano. Cirano deve morire è una resa dei conti tra i tre protagonisti, i due morti e l’unica sopravvissuta, Rossana, che non riesce a liberarsi dei fantasmi che hanno distrutto la sua vita con l’inganno di un amore

impossibile, ma che, allo stesso tempo, le hanno donato gli unici momenti di felicità, con la forza della fantasia. Cirano deve morire recupera la forza del testo originale attraverso la poetica rap, scelta necessaria – secondo il regista – non solo per esprimere l’eroismo e la verve polemica del protagonista, ma anche per rendere contemporanea e autentica, quindi fedele a Rostand, la parola d’amore. Musiche originali di Franco Visioli e Alessandro Levrero, eseguite dal vivo da Filippo Lilli, fonico Valerio Massi, luci Simone De Angelis eseguite da Giuseppe Incurvati,


scene Giuseppe Stellato, costumi Graziella Pepe. Produzione de La Biennale di Venezia nell’ambito del progetto Biennale College Teatro – Registi Under 30 con la direzione artistica di Antonio Latella, produzione nuovo allestimento 2022 La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Elledieffe, Fondazione Teatro della Toscana. Spettacolo vincitore del Bando Biennale College indetto dalla Biennale Teatro di Venezia 2018.

“Leonardo Manzan ha avuto il coraggio di esporsi e di rischiare. Ha dimostrato di essere pronto ad attraversare quella linea gialla che delimita la zona di sicurezza per andare in zone anche pericolose, mai rassicuranti e ovvie. Al suo coraggio vogliamo aggiungere la nostra scommessa.”

Antonio Latella (Motivazione del premio della Biennale di Venezia)

Note di regia

Cyrano de Bergerac è una storia di inganni e di morte, di fedeltà agli altri e di tradimento di se stessi, una storia di parole che seducono e di silenzi che uccidono. È una straordinaria storia di amore e di amicizia, forse la più grande del teatro moderno. Affidata di consueto a interpreti maturi che vedono nel testo nient’altro che una prova d’attore, appesantita dal verso alessandrino che non ha ancora trovato nelle traduzioni italiane risultati precisi e leggeri, si finisce inevitabilmente col dimenticare che questa, in realtà, è la storia di tre ragazzi.

Il titolo, Cirano deve morire, è una dichiarazione di intenti e insieme una preghiera che vi rivolgo in forma di esclamazione: dimenticatevi del Cyrano così come pensate di conoscerlo. Il primo atto del Cyrano de Bergerac reca a sua volta un titolo: “Una Rappresentazione a Palazzo di Borgogna”. Non è un caso che un dramma sulla verità e sulla menzogna, sulla realtà e sulla finzione, si apra in un teatro. Un evento e il suo spazio. Richiamarlo mi serve per spiegare il primo tentativo: aderire a questa indicazione dell’autore (più suggestione che prescrizione), seguire questa traccia

e portarla alle estreme conseguenze. Cirano deve morire sarà “Una rappresentazione in un teatro”, nel senso che si svolge tutta e unicamente nel teatro che la ospita, dal principio alla fine. Tra il principio e la fine naturalmente c’è una storia. La storia è nota e sarebbe inutile cercare di ammantare di mistero ciò che è semplice come la vicenda di tre ragazzi. Lo sforzo della sinossi è superfluo. In Cirano deve morire le foglie dell’ultimo atto sono ormai cadute. A ben vedere però non tutto è perduto. Non tutti sono perduti. Nell’ultima scena dell’opera di Rostand Rossana vive.

Quanto basta per innescare il secondo tentativo: raccontare di nuovo una storia già letta, mettere in scena una ripetizione (che sia l’ultima, perché Cirano deve morire), affinché emergano da essa le ambiguità e i significati, (le vere ambiguità e i veri significati), e questo senza che si sovrapponga, a portarci a fondo, l’interpretazione. L’interpretazione è una malattia mentale – chi l’ha detto?

Sono d’accordo con lui. Cosa vuol dire mettere ancora una volta su un palco Cirano, Rossana e Cristiano e metterli in condizione di mostrarci per l’ultima volta le loro vicissitudini? La risposta è uno spettacolo concerto. Un’esibizione consapevole e a tratti aggressiva, che sceglie il verso rap e la sua poetica per riappropriarsi della spontaneità originaria e insieme, ma è lo stesso, della profondità che Rostand a volte sembra voler dissimulare. Professione di cortesia nei confronti del pubblico? Parrucche e sfarzosi abiti seicenteschi possono nascondere le cose più difficili da dire.

Si può essere iconoclasti verso ciò che non è un’icona? Forse è proprio questo il tentativo più importante: dimostrare che Cirano non è affatto un’icona, non offre schemi. Semina indizi, tracce che portano a noi. Cirano ci appare molto più simile, più prossimo di quanto pensassimo, se riusciamo a smascherarlo, cioè, letteralmente, se gli togliamo la maschera. (C.S.)