Bimbo di 15 mesi salvato dal mini cuore artificiale
Ha solo 15 mesi e ha passato quasi tutta la sua vita in un ospedale a oltre 900 chilometri di distanza da casa, ma dopo tante sofferenze finalmente si intravede la luce in fondo al tunnel. È una storia davvero toccante quella del piccolo Ayrton Ethan, un bimbo di Matera che è stato salvato dai medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamograzie all’implementazione di un cuore artificiale.
Al fianco del bimbo, in questi mesi lunghi e difficili, c’è sempre stata mamma Nunzia, mentre il papà e i quattro fratelli più grandi, pur essendo rimasti a Matera, hanno sempre fatto avanti e indietro per l’Italia pur di stargli accanto. Una famiglia unita ancora di più dalla distanza e dalle tante difficoltà. Il piccolo Ayrton Ethan sembrava spacciato, ma il trapianto del cuore artificiale è riuscito alla perfezione e in questi ultimi mesi la convalescenza sembra aver dato esiti positivi.
A L’Eco di Bergamo, mamma Nunzia ha raccontato la vicenda del figlio: «Alla nascita non presentava alcun probleme e dopo due mesi era cresciuto regolarmente. Ad un certo punto, però, aveva smesso di fare pipì e temevamo fosse un’infezione. Dopo alcuni controlli, abbiamo scoperto che il suo cuore era troppo grande, si era sviluppato troppo rispetto al resto dell’organismo. Il cardiologo ci suggerì di andare subito all’ospedale di Bari, dove c’erano medici e macchinari idonei a curarlo: era il 15 dicembre 2017, da allora non sono più tornata a Matera».
L’episodio ha ovviamente sconvolto la vita di tutta la famiglia e mamma Nunzia, che fino a quel momento aveva lavorato come istruttrice di nuoto per disabili e segretaria d’azienda, aveva mollato tutto per stare insieme al figlio 24 ore su 24. «A Bari, dopo ulteriori controlli, abbiamo scoperto che aveva una cardiomiopatia dilatativa congenita. L’unica soluzione era il trapianto, potevamo scegliere tra Bergamo e il Bambino Gesù di Roma» – racconta la mamma del bimbo – « Sono venuti a prenderci con un aereo militare, ci hanno scortato fino a destinazione con un’ambulanza e la polizia. Li guardavo con gli occhi sgranati, perché non mi ero resa ancora conto fino in fondo della gravità della situazione, per me era tutto un incubo. Non mi sono nemmeno preparata la valigia, e non sono più passata da casa. Mia figlia stava male, perché pensava che l’avessi abbandonata».
A Bergamo, per fortuna, Ayrton e sua mamma non hanno trovato solo una struttura all’avanguardia, ma anche medici e personale sanitario d’eccellenza: «Vivevamo una situazione difficile, ma ci siamo sentiti come fossero a casa. L’ospedale è moderno e accogliente, non smetterò mai di ringraziare chi ha curato mio figlio. Mio marito, nei primi due mesi, è sempre stato al nostro fianco, ma poi è stato costretto a tornare a Matera per gestire la sua attività e consentire di pagare il mio alloggio qui a Bergamo. Gli altri figli vengono a trovarmi durante le vacanze e per questo mi considero molto fortunata, ci sono pazienti in questo reparto che arrivano anche dall’estero e sono completamente soli, lontani da tutto. Abbiamo dovuto affittare un’altra casa, perché le associazioni che ospitano le famiglie dei degenti possono accogliere al massimo due persone. Dobbiamo fare molti sacrifici ma cerchiamo di tenere duro».
La mamma, poi, lancia un appello: «Non si parla mai abbastanza dell’importanza della donazione degli organi, la gente non ha informazioni sufficienti. Forse se tutti sapessero quanta difficoltà e dolore ci sono negli ospedali, capirebbero meglio l’importanza di informarsi e firmare il consenso. Quando temevo di aver perso mio figlio, ero pronta a donare i suoi organi per salvare la vita di altri bambini». (Leggo)