Anton Giulio Grande: «La vita è un soffio e va vissuta tutta d’un fiato»
Roma. Tra Versace e Valentino c’è di mezzo Anton Giulio Grande. Erede del primo e portatore del genio del secondo, Anton inizia il suo percorso nella moda molto giovane, ribellandosi se così possiamo dire, a quel mondo e a quella realtà ristretta che era, e forse ancora a tratti lo è, il sud Italia e nello specifico quella Calabria, la sua Lamezia Terme. Una ribellione però intelligente, fatta di rivincite e mai di disprezzo che lo ha portato dal suo piccolo borgo alle passerelle di tutto il mondo meritandosi e confermandosi nel tempo lo stilista delle dive.
L’alta moda è il suo mestiere ma non ha mai dimenticato e non dimentica le sue origini, il suo mondo e soprattutto quell’umiltà che gli scorre nelle vene e che ha fatto di lui, ex enfante prodige della moda, uno stilista elegante, ricercato, raffinato e in continuo divenire nonostante l’essersi, oramai, più che affermato sul panorama internazionale.
Una vita prestata o meglio donata alla moda: potremmo riassumere così la sua carriera ultra ventennale?
«Più o meno si, ma oserei donata alla moda, in quanto mi sono sposato con questo lavoro – sorride e riprende – Indubbiamente ho iniziato molto presto e diciamo che in un certo senso sono scappato da quella realtà in cui vivevo perché sentivo che non mi capiva e mi sono imposto in questo ambiente. E’ stata dura e lo è ancora, ma sono contento di quanto fatto perché oggi posso dire di aver seguito il mio cuore e di non aver alcun rimpianto».
Da Lamezia Terme a Roma, dove vive attualmente, ma alle passerelle di tutto il mondo: quanto e se è stata dura riuscire ad affermarsi e a raggiungere tali obiettivi tutto da solo?
«E’ stata dura e forse oggi col senno di poi meglio così perché non solo ciò mi ha fortificato e ha fatto di me quello che sono oggi, ma perché mi ha fatto intendere davvero cosa volessi dalla vita e soprattutto cosa volevo da me stesso. La mia affermazione mi sono sposato con questo lavoro, qualcuno potrebbe vederla come un’esagerazione e invece no, questo è tutto il mio mondo, dove ripongo le mie gioie più grandi, ma anche le mie sofferenze, le mie insicurezze. Sono uno di quelli che si emoziona ancora ad ogni sfilata, nonostante oramai, un po’ di carriera alle spalle. Come ho detto poc’anzi, ho iniziato molto presto, venivo da una realtà sferrata del sud Italia, dalla Calabria, dove assicuro nulla è semplice e parliamo poi anche di tempo fa quando il mondo della moda era forse etichettato in modo non piacevole. Io sognavo Versace, Ferrè, Fendi ma la mia terra non mi capiva. Ricordo che frequentavo il Liceo Classico ero agli ultimi anni quando un giorno di nascosto feci domanda per entrare nella scuola di moda, da lì l’inizio di tutto, Firenze, New York fino a quei primi passi nell’alta moda. E’ stata molto dura, tanti pregiudizi, una famiglia borghese alle spalle ed io che sognavo un’altra carriera, quelle passerelle, quelle donne da vestire con le mie stoffe, i miei abiti. Se il sud Italia su alcune cose sembra sempre un po’ in ritardo, su altre batte tutti: noi meridionali e i calabresi nello specifico, siamo persone testarde. E questa testardaggine mi ha aiutato a superare tante barriere e difficoltà. La cosa che, oggi, consiglio sempre ai genitori è cercare di non imporre nulla ai propri figli, la vita è un soffio e va vissuta tutta d’un fiato. Io mi ritengo un fortunato perché faccio il mio lavoro con felicità, un lavoro che amo e non potrei prescindere da esso».
La prima sfilata…
«La ricordo e come, per due motivi: uno è che il primo amore non si scorda mai, il debutto, sudavo freddo; l’altro è che quello fu l’anno in cui uno dei miei idoli della moda morì, Versace. Era il 1997 e su quelle passerelle c’erano tutti i grandi da Balestri, Barocco, Valentino, Versace, un calendario di grandissimo livello, tv da tutto il mondo. Io sfilai un po’ da esordiente del campo con tre miei abiti e da lì sono stato catapultato e mi ci sono tuffato in questo mondo»
Ha nominato due stilisti che in un certo senso le appartengono, Versace del quale ne è l’erede e Valentino al quale molti ultimamente la accomunano. Paragoni importanti che fanno rumore, ma quanta responsabilità?
«Tanta, troppa. E’ innanzitutto un grandissimo onore perché parliamo di due mostri sacri della moda, due colonne portanti, ognuna ovviamente col suo stile il suo modo di essere diverso dall’altro. Erede di Versace è un appellativo datomi dai giornalisti e io ne sono più che onorato, pensa che lui è morto qualche ora dopo il mio debutto. Ma è senza dubbio una grande responsabilità, parliamo di un genio, un mito scomparso troppo presto che ha rivoluzionato il mondo della moda, amato in tutto il mondo. Ha segnato un’epoca e credo che sia impossibile non portarlo nel cuore, la sua presenza si è fatta sentire, così come la sua assenza, è stato e resterà un leader. Il motivo per il quale mi hanno soprannominato suo erede è che entrambi abbiamo il gusto dell’arte e siamo calabresi. Amiamo a dismisura la nostra terra con tutte le sue contraddizioni e le sue bellezze e siamo figli di essa in tutto e per tutto, la nostra idea di donna rispecchia quelli che sono i canoni del nostro mondo: forte, sexy, sensuale, mediterranea. Per quanto riguarda Valentino, che dire, con paragoni di questo calibro ti inchini e basta, al massimo riesci a pronunciare chapeau. Per me è un banco di prova e cerco di affrontarlo con molta semplicità e umiltà, ma anche insicurezza perché è dei grandi, è quella che ti fa grande come questo genio indiscusso della moda, lui è l’altra colonna portante di un mondo che io adoro e spero davvero di non deludere mai le aspettative. Per questo forse ad ogni nuova sfilata nonostante possa essere un veterano, ho sempre il battito al cuore. Il giorno in cui non proverò più emozione vorrà dire che il mio tempo è finito, non c’è vita senza un’emozione».
Lo stilista delle dive, da Ferilli a Nina Moric, Belen, Valeria Marini, Parietti, Manuela Arcuri e tantissime altre: la più complicata e la più invece divertente e briosa, quella che qualunque cosa indossava andava bene se a proporgliela era Anton…
«Ne ho vestite tante e non è stato mai facile – sorride e riprende – alcune le ho scelte io, altre sono state loro a scegliermi. Sono donne che porto tutte nel cuore perché ognuna a suo modo mi ha dato tanto, forse la più complicata è stata Valeria Marini, la più egocentrica credo Parietti, mentre Belen e Nina, uniche, due donne in antitesi, entrambe bellissime e con un passato forte. Nina la conosco da 20 anni, le sono stato sempre accanto credo che con lei ci sia un empatia particolare, insieme ci siamo divertiti tanto. Ma ho avuto l’onore di vestire anche Anna Falchi e Arcuri, Carmen Russo e Natalia Estrada che mi ha dato poi la possibilità di farmi conoscere anche in Spagna. Tutte donne dai caratteri semplici e complicati, tutte esigenti ma di una sensualità e femminilità unica».
Un weekend ad Ischia come ospite d’onore in una terra che la accoglie nuovamente…
«Sono onoratissimo e felicissimo di tornare ad Ischia, è un’isola che insieme a Capri offre tantissimo e sono per me tra le più belle del mondo. Adoro quell’allegria, la tradizione, quella bellezza campana che si sprigiona dalla costiera, alla città di Napoli, alle sue isole. Non lo dico per circostanze ma davvero ho dei bellissimi ricordi anche qui, a volte queste terre andrebbero valorizzate di più, non solo per le proprie bellezze naturali, ma anche per quel patrimonio umano che ho avuto la fortuna di conoscere. Sarà un breve weekend ma intenso e sfilerò con dieci capi».
Progetti futuri, cosa ci aspetta in autunno?
«Ho tante sfilate in programma, da Londra, Taormina, a Malta. In esclusiva e in anteprima posso dirvi che ci sarà una mia prima collezione di prete a porter dopo tanti anni, con abiti che possono indossare tutte le taglie e c’è in procinto anche la realizzazione di u profumo, insomma un anno impegnativo con tanti progetti e spero di riuscire a raggiungerli tutti. Come diceva un grande maestro, tra l’altro meridionale “gli esami non finiscono mai”».
Nunzia D’Aniello