Agenti di Polizia massacrati di botte mentre fermavano uno spacciatore di droga africano.

14 Settembre 2018 - 13:07

Agenti di Polizia massacrati di botte mentre fermavano uno spacciatore di droga africano.

Agenti di Polizia massacrati di botte mentre fermavano uno spacciatore di droga africano.

«Africa aiuto». Gridare queste due parole in piazza Alimonda di Torino, oasi di tigli e panchine in mano a spacciatori indifferenti a retate e proteste, dove ovunque si leggono scritte contro «sbirri» e Salvini, è stato un richiamo per chi aveva un conto da saldare con la polizia. A farne le spese sono stati due agenti in borghese di un commissariato di periferia, circondati e picchiati mentre cercavano di arrestare un pusher di 23 anni, di origine Gabonese, fuggito da un alloggio della zona dopo essere stato sorpreso con un po’ di crack.

I fatti

Correndo verso la piazza a piedi nudi e in mutande, ha urlato a squarciagola. In quaranta, più o meno, hanno risposto. Altri spacciatori, passanti. Nigeriani, senegalasi, maghrebini. Anche un italiano. Un artigiano che si è gettato nella mischia dando dei «fascisti» ai poliziotti e strattonandoli. Sopraffatti dalla folla, gli agenti hanno dovuto lasciar andare il giovane. Ma solo per pochi istanti. L’ arrivo di altre pattuglie ha riequilibrato le forze. Il pusher è stato arrestato. E anche l’ artigiano, per resistenza, violenza e favoreggiamento. L’ aggressione è avvenuta martedì scorso in tarda mattinata. Ieri il giovane pusher, Make Diop e l’ artigiano, Giuseppe Ghisleni, 56 anni, sono comparsi in tribunale. Il giudice Claudio Canavero ne ha convalidato gli arresti e applicato loro una misura cautelare. In carcere per il primo, «per la violenza con cui ha cercato di sottrarsi all’ arresto», e al secondo l’ obbligo quotidiano di presentazione alla polizia, per il suo atteggiamento «sprezzante e minaccioso» verso i poliziotti, entrambi feriti: 20 e 25 giorni di prognosi. Uno ha riportato una frattura al ginocchio. «Fascisti? Mai detto» ha affermato ieri l’ artigiano di fronte al giudice. «Ero a casa della mia fidanzata, sul balcone a dipingere una finestra. Ho sentito gridare. Ho visto due persone che tenevano fermo un ragazzo e così ho urlato di lasciarlo stare. Poi sono sceso». In più ha negato di aver aggredito i poliziotti. «Volevo solo aiutare quel ragazzo. Con me c’ erano altre persone: tiravano spintoni, scappavano. Cercavano di liberare il giovane. Non ho menato nessuno. Forse ho esagerato con i toni. Appena ho capito che erano poliziotti ho chiesto scusa. Non è servito a niente». E dire che i due agenti, martedì mattina, non erano a caccia di pusher. Stavano accompagnando la dirigente del commissariato Barriera di Milano e un custode giudiziario a ispezionare alcuni immobili pignorati, per accertare l’ identità degli inquilini. Al primo indirizzo dell’ elenco, in corso Palermo, in uno dei quartieri simbolo delle fragilità dell’ immigrazione, si sono imbattuti in quel giovane, atletico e possente. Non sapevano abitasse lì. Già arrestato in precedenza, è stato subito riconosciuto. Era nell’ alloggio con un amico. Tutte e due in mutande. «Dobbiamo verificare le vostre identità», ha detto loro la dirigente, invitandoli a sedere. Make, appoggiandosi al letto, ha fatto scivolare sul pavimento un involucro pieno di palline di crack. Il tempo di un respiro e si è alzato di scatto. Con una spallata si è fatto largo tra i poliziotti, infilando le scale. I due agenti si sono lanciati all’ inseguimento. La dirigente è rimasta nell’ alloggio a tenere a bada l’ altro ragazzo. Ma mentre lei chiedeva aiuto via radio, lui si è lanciato dalla finestra. Un salto di 5 metri. È fuggito senza farsi un graffio. Gli agenti, invece, hanno inseguito Make per 300 metri, fino in piazza Alimonda. (Dagospia)