Vito Mancini in Storia di Una Famiglia Perbene su Canale 5. L’Intervista

12 Novembre 2021 - 18:25

Vito Mancini in Storia di Una Famiglia Perbene su Canale 5. L’Intervista

Lo stiamo vedendo, ogni mercoledì sera su Canale 5 in prima serata, nel ruolo di Salvo Straziota in Storia Di Una Famiglia Perbene, la fiction che ha tra i suoi protagonisti anche Giuseppe Zeno, Vanni Bramati, Simona Cavallari e Andrea Arru. Parliamo di Vito

Mancini, che di recente è stato anche nel cast di altre serie di successo come Le Indagini di Lolita Lobosco e Fino All’Ultimo Battito. Un impegno artistico di cui Vito è molto soddisfatto, proprio come ha dichiarato in questa intervista in cui si è raccontato, lungamente,

a 360°.

Vito, parliamo da Salvo Straziota, il ruolo che interpreta in Storia di una famiglia perbene, in onda ogni mercoledì sera su Canale 5.

“Come avete visto, Salvo è il maggiore dei fratelli della famiglia Straziota, composta da contrabbandieri. Un’attività che negli anni ’80 e ’90 è stata molto florida in Puglia, che ha permesso la nascita e la crescita di queste famiglie di contrabbandieri. Insieme a lui, ci

sono i fratelli Carlo (Alessio Gallo) e Michele, interpretato prima da Andrea Arru e successivamente da Carmine Buschini. Salvo è quello che porta il vessillo della famiglia criminale; è come se fosse il più cattivo, cruento e temibile. E’ soprannominato ‘carro armato’

per la modalità con cui si approccia alla vita e alle persone che incontra, dato che il più delle volte va a finire con episodi di violenza e intimidazione all’interno di un profilo che è criminale”.

Ha però anche un segreto che non vuole che emerga, no?

“Sì, c’è qualcosa che vuole nascondere: la sua relazione omosessuale con Gaetano (Kevin Magrì) detto ‘Mezzafemmina’. Questo è un aspetto della sua vita che vuole tenere nascosto perché, ovviamente, non rientra all’interno dei canoni del figlio di un boss malavitoso.

Oltretutto, qualora la relazione venisse alla luce, rischierebbe di perdere agli occhi della famiglia qualsiasi tipo di credibilità. Diciamo che questa parte, per quanto si possa pensare che sia la meno visibile, è quella che secondo me dà la maggiore caratteristica a quello

che è il personaggio di Salvo. Nel momento in cui ho letto i copioni delle varie puntate della serie, ho pensato sempre più che questo atteggiamento fosse dovuto alla repressione. Salvo reprime, appunto, tutto quello che fa parte di lui, compreso il suo aspetto emotivo e

intimo della sessualità. In Salvo troviamo tutte le caratteristiche di una persona repressa, che ha bisogno di esprimere la sua mascolinità anche al di sopra del dovuto. Per questo, in lui si innescano degli atteggiamenti che sono molto deboli, rispetto a quello che

vorrebbe mostrare, ovvero la tossicodipendenza e il modo di vivere questo suo rapporto, che è molto legato allo scambio di stupefacenti con questo ‘Mezzafemmina’. Vive la sua omosessualità in maniera negativa, come qualcosa da cassare, da eliminare”.

Immagino quindi che per portare in scena Salvo abbia fatto un grosso lavoro…

“Esatto. Tutto questo corollario ha fatto sì che io lavorassi sul personaggio partendo proprio dalla repressione. Più andavo avanti nel suo studio e più mi rendevo conto di quanto ad oggi le cose non siano cambiate tanto, nonostante la fiction sia ambientata indietro di

trent’anni. Sicuramente, un piccolo cambiamento c’è stato, anche se le immagini del Parlamento che esulta di fronte all’affossamento del Ddl Zan ci fanno capire che forse non c’è stato chissà quanto mutamento da questo punto di vista. L’emancipazione e i diritti

sociali devono appartenere a tutti. Al di là della questione legata alla serie, mi rifaccio tanto a quello che è il mestiere dell’attore, che è vita. Inevitabilmente bisogna rifarsi alla vita che ci circonda, al vissuto e al quotidiano per portare in scena un personaggio. Visto che

parliamo di Salvo, non nego che, da attore, mi è dispiaciuto tanto avere molti elementi di cui potermi servire partendo dalla società moderna e non da quella di trent’anni fa. Questo mi ha fatto riflettere tanto”.

Ha avuto delle difficoltà ad interpretarlo e a trasmettere tutte le sue sensazioni?

“Diciamo che ho avuto la necessità di immergermi in determinati aspetti che sono legati alla repressione. Per quanto mi riguarda, non sono partito dalla sessualità in quanto tale, che consideravo riduttiva. Tutto è partito dall’idea della repressione dell’identità, in

quanto essenza della persona, dell’io. Mi sono rifatto a determinate cose che, appunto, precludono l’espressione libera di quello che si è e che si vuole essere. Nel mio caso, ho accostato il tutto alla difficoltà che si può avere nel fare accettare un lavoro artistico come

tale in Italia. Anche quella, dal mio punto di vista, è una forma di repressione. Perché non ti permette appieno l’espressione dell’io personale. Da lì, ho lavorato tantissimo su queste privazioni. Ho lavorato tanto sulla privazione e sulla rimozione, che è quello a cui

andiamo incontro per avere più like su Instagram. Un pensiero che, vero, può sembrare banale ma che è il sunto della cosa. L’essere riconosciuti e in qualche modo apprezzati ci porta a rimuovere, a sopprimere delle parti di noi. Queste cose sono silenti in tutti noi,

anche se non in egual misura. C’è chi, ad esempio, non riesce a fare uscire fuori la propria identità e personalità. Mi sono perciò rifatto a tutti questi piccoli segni del quotidiano e, effettivamente, non è stato semplice. Privando se stessi della propria identità, è come se

in qualche modo tutto fosse filtrato da un occhiale con le lenti scure che rende il tutto molto più scuro e grigio. Dove anche una gioia è mitigata da una privazione. Interpretare Salvo è stato un po’ faticoso. Chi si priva deve fare maggiore sforzo per dimostrare ciò che

non è. E’ come se ci fosse un triplo dispendio di energie. Quello, da un punto di vista psico-emotivo, a un certo punto si sentiva. Anche se mitigato da un ottimo ambiente che si respirava sul set. Salvo è stato per me un motivo di grande riflessione sulla condizione

umana, che non è negativa solo nelle quotidianità degradate o nelle periferie delle città. Ci sono tante condizioni e privazioni di assoggettamento a quello che la società vuole. Sono quelle più subdole poiché accettate dalla società che ci circonda; lavorano con questa

violenza silente che, secondo me, è molto più devastante di quella che è una violenza esplosiva”.

Sicuramente Salvo è un personaggio che l’ha arricchita tanto, giusto?

“Ovvio. Questo rientra tra le fortune del mestiere più bello del mondo. Mi ha arricchito tanto. Mi ha dato tantissimi spunti di riflessione. Mi sento veramente molto arricchito. Come vedremo durante le puntate, Salvo è particolare. Fin dall’inizio ho capito che il suo

colore non era esclusivamente di violenza, di criminalità fine a se stessa. Salvo aveva dietro di lui una tavolozza di colori molto diversi e variegati, che avevano bisogno di essere rispettati. Non si voleva far finta che fosse un criminale qualsiasi. Insomma, non doveva

essere il violento, il bullo il gradasso di turno che poi diventa criminale. Ho sempre pensato che il personaggio meritasse un’analisi più approfondita; che doveva avere un punto di visto non superficiale”.

A proposito di fiction, in quest’ultimo anno ha partecipato ad altre due fiction che sono state accolte benissimo dal pubblico. Parliamo di Le indagini di Lolita Lobosco e Fino all’ultimo battito.

“Esattamente. Sono state due esperienze molto positive. Lolita Lobosco aveva degli artisti di tutto rispetto ed ho avuto il piacere di lavorare con Luca Miniero, che è un regista speciale. Luisa Ranieri è poi una professionista di una caratura inestimabile. Quel set è stato

un motivo di crescita totale. Proprio come è accaduto in Fino all’ultimo battito, anche se lì sono apparso soltanto nei flashback, dato che ho interpretato il marito, ormai defunto, di Bianca Guaccero. Il mio personaggio veniva però costantemente ricordato. Ma, anche

in questo caso, sono stato entusiasta di poter lavorare con Cinzia TH Torrini, che è uno dei nomi, insieme a Stefano Reali che ha diretto Storia di una famiglia per bene, con cui sono cresciuto. Per me, è stato una sorta di traguardo. Tra le tante cose belle che ha fatto

nella sua carriera, Stefano è stato assistente alla regia di Sergio Leone. Nel lavorare con lui, mi si è aperto un mondo di ricordi. C’era una volta in America è stato infatti il film che mi ha ispirato di più in assoluto. Da grande, l’ho guardato più volte per intero ed è stato

uno dei motivi che mi ha spinto a fare questo mestiere”.

Prima del lockdown, quindi parliamo del 2019, ha avuto l’occasione di partecipare al Festival del Cinema di Roma. Anche quell’esperienza immagino sia stata una grossa emozione.

“Sì, nell’ultima edizione fatta prima dell’arrivo della pandemia. Saremmo infatti dovuti uscire al cinema, a marzo 2020, con Bar Giuseppe diretto da Giulio Base, che è un lavoro che ha avuto comunque il suo grande successo su RaiPlay, dato che è stato tra i più visti.

Inoltre, anche Base è uno dei nomi con cui sognavo di lavorare fin da quando ero un ragazzino. Per me, come poi ho avuto modo di dirgli, somigliava tantissimo a Sylvester Stallone, che all’epoca era al massimo della sua carriera dopo Rambo. Teneva davvero incollati

noi ragazzini della provincia davanti alla tv. Dal punto di vista dei lavori che faceva, Giulio dava quel tocco americano. E mi ha ringraziato quando gli ho fatto quel paragone, dato che considerava Stallone un ‘figo vero’. Per me, lavorare con Base è stato dunque quella

sorta di collegamento con quel cinema che mi piaceva. Motivo per cui l’ho sempre seguito con grandissima passione. Poter stare al suo fianco, su un set, fa parte di quelle piccole ma grandi soddisfazioni che ho avuto”.

C’è poi il cortometraggio Cultura, Amore e Radicazione, ambientato in Puglia, terra che le ha dato i natali.

“Esatto. La location è il mare dove ho imparato a nuotare e ad amare. Lo stesso che mi ha accompagnato in tante riflessioni. Essendo nato lì, sento una sorta di timore reverenziale, che si riserva agli Dei, nei suoi riguardi. Per me il mare rappresenta la vita. E’ segno di

infinito, di accoglienza, perché unisce terre che si toccano grazie a lui. Questo è stato il motivo per cui la mia terra è diventata così ricca. Nel tempo, ha potuto accogliere chiunque è arrivato. La Puglia poi è stata anche colonizzata dalla Magna Grecia. Tutta questa

ricchezza, per me, viene dal mare. Non nascondo che, mentre ne parlo, questo aspetto mi emoziona tanto. A Torre Colimena, che si trova al confine tra la provincia di Taranto e quella di Lecce, c’è un posto bellissimo con delle riserve naturali dove ci sono dei

fenicotteri rosa fantastici, che sono stati messi a repentaglio da alcune scelte un po’ azzardate. Tra i vari studi fatti nel tempo sulla nostra terra, l’ultima è stata la decisione di voler fare scaricare un depuratore in questa area protetta. Le associazioni locali si stanno

battendo affinché questo non avvenga. Mi è stato così chiesto di poter dire la mia”.

E in che modo l’ha fatto?

“Sinceramente mi sono sempre chiesto in che modo avrei potuto dire la mia; in che maniera potessi fare dei proclami. Principalmente, non sentivo di essere in grado di fare il portavoce. Ho dunque cercato di farlo nel modo in cui mi viene meglio, ossia attraverso

questo corto che parte da un testo che si intitola Comu ‘na Petra ed è tratto dal primo album dei Sud Sound System, che per noi ragazzi è una sorta di manifesto. Il testo indicava, appunto, Cultura, amore e radicazione. Parla proprio di questo. E’ una passeggiata in

questo territorio che mi ha cresciuto e che sta andando incontro a un futuro veramente molto grigio. In questa passeggiata si va a vedere, semplicemente, che cosa abbiamo; che cosa i nostri antenati ci hanno lasciato affinché rispettassimo il territorio. Ci hanno

regalato degli uliveti immensi e bellissimi, un paesaggio stupendo che la natura ci ha lasciato affinché potessimo goderne, ma che purtroppo sta andando verso una distruzione totale. Partendo da quella idea del depuratore che scarica volevo accendere un po’

l’attenzione su tutto ciò che, in qualche modo, sta avvelenando il nostro territorio. Si parte da quello per arrivare alla Xylella, questo batterio che sta ammazzando praticamente migliaia di alberi secolari, millenari e monumentali di olivo che potranno cambiare tutto il

paesaggio della Puglia, del Salento, se qualcuno non fa qualcosa. Questo sta succedendo perché nessuno fa nulla. Il corto è una sorta di richiamo alla coscienza, non alle armi. Alla coscienza che ognuno di noi deve avere. Più volte mi sono chiesto per chi lo facessi. Ed

effettivamente mi sono detto che lo faccio per le generazioni future; per il futuro della mia nipotina che è nata poco fa, per i figli che vorrò avere. Ma soprattutto lo faccio per me come elemento di questa comunità, di questa società, che non è stata a guardare. L’ignavia

è forse uno dei peccati più brutti che possiamo commettere. Stare a guardare e non fare niente è un oltraggio alla nostra storia. L’obiettivo era quello di puntare i riflettori su quello che sta succedendo, senza dimenticare la poesia, la bellezza e la tenerezza che la

natura, come una madre, ci regala ogni giorno”.

E per quanto riguarda i lavori futuri? Ce n’è già qualcuno in ballo di cui può parlarci?

“Ci sono sicuramente dei progetti futuri, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto teatrale. Siamo in preparazione con uno spettacolo che vogliamo far partire all’inizio dell’anno prossimo. Come il nostro lavoro richiede, la riservatezza e la scaramanzia mi portano a

non parlarne approfonditamente. Tuttavia, posso dirle che sono molto contento di questo periodo. Noi attori, se ci pensa, ogni giorno ci troviamo a dover scommettere nuovamente su noi stessi. Tra i vari aneddoti che possiamo raccontare c’è quello che il nostro

mestiere è fatto di attese per il 90% del tempo. Bisogna tenere duro ed essere in ascolto con se stessi e nei confronti del mondo che ci circonda. Questo ci permette di essere pronti quando viene quel 10% di azione, quando si batte il ciak. Quando ti approcci a questo

mestiere, in determinati momenti, ti chiedi se è giusta la scelta che hai fatto, se è davvero quella che ti potrà rendere felice. Ti chiedi se magari desiderassi di più una vita, tra virgolette, normale, fatta di traguardi, di step. Ci sono persone, cresciute con me, che hanno

una quotidianità fatta di appuntamenti un po’ più precisi. A volte, nei momenti di attesa, capita che mi guardi intorno per riflettere se sia giusto cambiare strada. Ma è il dubbio che mi porta a fare una riflessione in più, a cui segue una risposta più precisa. Nelle attese,

nei dubbi, nelle paure nella voglia di poter riscattare la propria scelta, i momenti positivi, quando arrivano, li vivi appieno. Capisci che ne è valsa la pena”.

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