«Vediamo se sei vergine» Stuprata dal fidanzato e poi gettata dal 20esimo piano
È volata dal 20esimo piano atterrando sul selciato come un manichino disarticolato, con il corpo coperto di lesioni e i capelli biondi intrisi di sangue. Così è morta Sule Cet, 23 anni, studentessa- lavoratrice all’università di Ankara. Suicidio, ha timbrato la polizia il rapporto ufficiale, incurante delle lesioni intime sul corpo di Sule, del DNA sotto le unghie e di tutte le ferite che sul suo corpo gridavano allo stupro.
Così è toccato alla famiglia della bella ventenne riavvolgere il nastro di quel maledetto giorno di primavera e tornare alla sera del 23 maggio, quando Sule era a casa con la coinquilina Liliya.
Ed era viva, era felice, aveva un futuro. Quella sera l’uomo che aveva rilevato la società per cui lavorava, Çağatay Aksu, un imprenditore sulla 40ina le aveva scritto un messaggio:
“Prendi un taxi e raggiungimi per un drink”. “Sto per andare a dormire”, aveva risposto lei, ma lui aveva insistito così Sule si era decisa ad andare. Aveva perso l’impiego quando la società era stata rilevata da Aksu. Per questo, per parlare di lavoro, si era risolta ad accettare l’invito, ma solo con l’accordo, strappato all’amica Liliya, di tenersi pronta ad andare a prenderla se qualcosa non avesse funzionato.
Intorno all’una era all’ufficio nel grattacielo di Ankara ed era, come aveva temuto, a disagio. “Puoi essere qui in 15 minuti? Scrive a Liliya, ma 12 minuti dopo le invia un altro messaggio: “Non posso uscire di qui, è ossessionato da me.
Non mi lascia sola, vorrei non essere venuta”. Con l’imprenditore c’era l’amico Berk Akand ed è proprio insieme ad Akand che Aksum viene ripreso dalla videocamera di sorveglianza, mentre, l’indomani, lascia il grattacielo circa 20 minuti dopo che Sul si è schiantata sul selciato.
Calmi e serafici i due uomini vengono interrogati quella stessa mattina e rilasciati dopo aver dichiarato che Sule si era suicidata. “Ero come un fratello maggiore per lei”, spiega Aksu.“L’avevo invitata da me perché si distraesse dai problemi economici e dal lavoro. Non abbiamo fatto altro che ascoltare la musica quella notte. Prima di suicidarsi, il suo stato psicologico era positivo”.
Sul freddo tavolo dell’autopsia, però, il corpo di Sule racconta una storia diversa. Le ferite, anali, genitali, sparse ovunque, sono i veri testimoni chiave del caso, insieme alle tracce di pelle sotto le unghie ovviamente. Sono testimoni silenziosi di quello che avvenuto nella stanza del grattacielo di Ankara, dove una ragazza è stata trattenuta con la forza, violentata, assassinata per tapparle la bocca.
Nella Turchia della disuguaglianza di genere, lo stupro è un tabù e viene richiesta alla vittima ogni prova possibile per incolpare un uomo. Sule ne aveva fornite abbastanza. Il 14 luglio 2018, Çağatay Aksu e Berk Akand vengono arrestati con l’accusa di omicidio premeditato, stupro e sequestro di persona. Entrambi negano le accuse contro di loro, me vengono rinviati a giudizio.
Il processo per la morte di Sule è un evento storico importante. Nel corso della prima udienza, dalla quale vengono escluse come parti civili le associazioni femministe, che finiscono per affollare l’aula, la famiglia viene redarguita dalla difesa con l’accusa di aver creato un’inopportuna attenzione sui social network, dove l’account Twitter @suleicinadalet ha mobilitato l’opinione pubblica al grido di #suleicinadalet (giustizia per Şule). Nella stessa aula gli avvocati di Akand e Aksu mettono le prima fondamenta della difesa dei loro clienti screditando la vittima. “Şule Çet non era vergine e che beveva alcolici”, dicono come se bastasse a giustificare la brutale aggressione fisica subita dalla 23enne.
Il verdetto finale: “Ergastolo”
Alla fine il processo si conclude con una condanna esemplare per entrambi gli imputati. Ergastolo per lo stupratore e assassino Çağatay e 18 anni per il complice voyeur Aksu. Applausi e canti di “lunga vita alla solidarietà femminile” salutano la lettura della sentenza in aula. Il verdetto arriva un anno dopo i fatti il giorno dopo l’omicidio di un’altra studentessa universitaria, Ceren Ozdemir, 20 anni, pugnalata a morte nella città di Ordu, mentre tornava a casa da una lezione di ballo.
L’epilogo
Oggi i due condannati continuavano a gridare la propria innocenza. In Turchia, dove la condizione femminile e i diritti delle donne sono oggetto di una continua battaglia militante per l’uguaglianza di genere, lo scorso 25 novembre, la nella manifestazione contro la violenza sulle donne la folla è stata dispersa dalla polizia con i lacrimogeni.