Un artista, un generoso e leale protagonista amato alla follia dai suoi tifosi, ammirato e temuto dagli avversari, detestato e invidiato da tutti gli altri. Questo era il Maradona calciatore. Un’icona, qualcosa che non avrebbe mai pensato di diventare.
Pur avendo, sin da piccolo, le stimmate che ne avrebbero segnato il suo cammino, ovvero, vincere la coppa del mondo con l’Argentina, come avvenuto a Città del Messico nello stadio Azteca il 29 giugno 1986 contro la Germania di Rummenigge.
Molti ricorderanno o avranno visto nei giorni scorsi quel breve documentario in cui il piccolo Diego palleggiava già con grande abilità sul campetto della periferia dove era nato. Quelle immagini lo fecero diventare già un mito del calcio argentino.
Non solo per la maestria dell’interminabile palleggio di quel bimbo ossuto e smilzo, con una capigliatura nera e riccioluta, selvaggia, quanto per la risposta data, quasi urlando, quale fosse il suo sogno più grande: Argentina campeon del mundo.
Un segno del destino, un predestinato? Mi piace credere di sì. Perché Maradona è molto più del giocatore.,E’ stato un uomo grande, vero, sincero con tutte le sue debolezze mai negate, con tutti i suoi errori,dichiarati e sempre pagati di persona.
Altro che mezze figure di pseudo opinionisti, commentatori, provocatori e imbecilli che ne hanno sottolineato solo i lati negativi. Lo aveva già fatto lui, senza nascondersi, dicendo una verità sacrosanta: “Ho fatto del male solo a me stesso”.
Una confessione che gli deve essere valsa l’assoluzione e il perdono del “Barba”, come chiamava Dio, a differenza della condanna senza appello di gente che non solo non lo ha mai conosciuto, ma lo ha detestato.
Tutto per quell’intelligenza viva, il carisma, donatigli chissà da chi e perché, che loro, colti e borghesi, affamati solo di visibilità e denaro, non potranno mai avere, nonostante cultura, favella e immagine snob e radical chic.
Perché la sua forza era quella di stare, non solo nel calcio, con una presenza e una tenacia non di questo mondo… Allora pensi che il Genio non lo puoi “comprare” sui libri e con lo studio ma è un dono divino, anche se sei povero e non hai studiato.
Oggi, perciò, è inutile, banale e riduttivo parlare di Maradona solo come dio del calcio, scindendo l’uomo dal giocatore. È impresa impossibile perché sono un tutt’uno, una sola entità, enorme per grandezza, personalità. Una voglia di regalare gioia agli altri, non solo sul campo.
L’icona Maradona è oggi diventata Leggenda, Mito, Genio purissimo. Come Leonardo o Van Gogh, Mozart o Caravaggio, Einstein o Padre Pio. Creature di un altro mondo, “inviati” su questa terra per far comprendere a noi, comuni mortali, che l’Eternità esiste.
Maradona appartiene a questa genia di immortali. Il 25 novembre è solo finito il simulacro di una creatura già da tempo lontana da tutto e tutti. Soprattutto da quel bambino ossuto, con i capelli neri come la pece che era comparso a Villa Fiorito.
E davanti a una cinepresa aveva gridato il suo sogno: Argentina campeon del mundo. Il Barba doveva averglielo già detto, se l’è portato via quando ancora il Genio e il Mito resisteranno alle nuove generazioni di tifosi e appassionati.
E a quel calcio “artificiale” e noioso di giocatori diventati e usati come robot, senza un’anima, un ideale per cui giocare solo per dare gioia al prossimo e fare felici i propri tifosi capaci di identificarsi in lui. Napoli e l’Argentina, nel bene e nel male, hanno capito più di tutti il messaggio eterno d’Amore del Genio Maradona, sceso dal cielo in terra “a miracol mostrare”… Per soli 60 anni…
Sergio Curcio