Il delitto di Serena Mollicone,
continua a essere costellato di colpi,
di scena, grandi misteri e depistaggi.
Nel corso dell’udienza ,che si è tenuta davanti ,alla Corte d’assise,
del tribunale di Cassino.
Che vede ,come imputate cinque persone, è stata fatta una clamorosa rivelazione, inerente i resti ,della diciottenne
di Arce ,uccisa nel 2001.
«Una volta riesumata la salma ,
della povera Serena avevamo necessità, di analizzare anche gli organi ,
che erano stati prelevati nel corso dell’autopsia ,effettuata qualche giorno dopo il ritrovamento del corpo.
Reperti custoditi dal medico legale, D’Aloja e che sono misteriosamente spariti.
All’appello mancano, oltre che la parte inguinale della giovane ,
anche il sopracciglio .
Che ,secondo la ricostruzione,
avrebbe sbattuto con violenza,
contro la porta della caserma».
A raccontare l’episodio alla Corte,
e alla giuria popolare ,è stato il colonnello dei carabinieri ,
Fabio Imbratta.
L’ufficiale che nel 2016, insieme al maresciallo Gaetano Evangelista,
ha nuovamente riaperto le indagini,
e puntato l’attenzione sulla caserma, dei carabinieri e su tre componenti della famiglia Mottola.
L’ex maresciallo Franco, la moglie Anna e il figlio Marco.
L’alto ufficiale, ha inoltre
riferito ciò che è emerso dalle indagini:
«Serena Mollicone è stata uccisa nella caserma dei carabinieri di Arce.
E non lo dico io ,ma i tanti accertamenti scientifici.
E, le lesioni sulla porta ,compatibili per altezza e spessore.
Le dichiarazioni fornite da Santino Tuzi, (il brigadiere testimone chiave, che poi si suicidò, ndr), sono state fondamentali, così come quelle rilasciate da Carmine Belli.
Poi artatamente e volutamente modificate, per farlo divenire un caprio espiatorio».
La ragazza, sparì il 1° giugno del 2001, vicino ad Arce, dove viveva col padre,
e fu trovata morta tre giorni dopo.
Sono accusati ,del delitto Marco Mottola, assieme al padre, il maresciallo dei carabinieri ,
Franco Mottola, e alla mamma Anna Maria.
Secondo l’accusa, Serena,
venne aggredita in caserma, tramortita facendole sbattere la testa, contro una porta, portata in un campo,
e qui lasciata morire legata e imbavagliata.