Caso Ciro Grillo la ricostruzione della vittima ai pm: «Volevo urlare, ma non ci riuscivo»

25 Maggio 2021 - 11:11

Caso Ciro Grillo la ricostruzione della vittima ai pm: «Volevo urlare, ma non ci riuscivo»

«Cioè, mi è venuto in mente di urlare, non è che non mi è venuto in mente, ma non riuscivo».

La ragazza che parla sta rispondendo alle domande del procuratore capo di tempio Pausania Gregorio Capasso e della sua sostituta Laura Bassani.

È il racconto di una violenza sessuale. Non riusciva a urlare, dice.«E perché non riuscivi?» chiedono loro. «Perché, cioè, ero…più concentrata a tirarlo via o comunque… sì, poi c’erano anche gli altri.. ero in una situazione un po’ che mi vergognavo…Non lo so… mi sentivo…».

«Diciamo che non ce l’hai fatta», deduce il procuratore. Il racconto continua.

Il presunto stupratore , annotano gli inquirenti , ha abusato di lei prima in una camera e poi nel bagno.

Lei dice che ha provato a scappare ma che davanti alla camera (senza porta) c’erano gli altri tre ragazzi della compagnia che «mi hanno fatto tipo da barriera».

Quindi , è il resoconto del verbale , il ragazzo che aveva abusato di lei la trascina in bagno e continua a porta chiusa.

Il procuratore torna sul punto: «E anche lì.. cioè, non… non sei riuscita a reagire?…Anche richiamando l’attenzione…» «No.. c’era una confusione allucinante».

Quello che racconta la ragazza è una violenza sessuale di gruppo in Sardegna, a casa di Ciro Grillo, il figlio di Beppe, garante dei cinquestelle.

La storia che finisce nel verbale dice questo: che lei è stata violentata prima da Francesco Corsiglia e poi , in un secondo momento dopo un paio d’ore da Ciro, Vittorio Lauria ed Edoardo Capitta, tutti genovesi e amici di sempre.

I fatti sono del 17 luglio 2019. In casa c’era anche l’amica di lei, Roberta, che dormiva mentre tutto accadeva.

Nella sua prima deposizione la ragazza Silvia , aveva come disegnato lo sfondo di un quadro.

Con il passare dei mesi e delle indagini ora che è il 17 febbraio del 2020 , il procuratore e la pm la risentono e insistono sui punti allora non chiariti.

Che poi sono i punti più facilmente attaccabili dalle difese dei quattro ragazzi.

Per esempio alcuni comportamenti di lei all’apparenza illogici. Perché non ha reagito, gridato, telefonato?

Insomma: perché non ha chiesto aiuto o non è fuggita durante le violenze e soprattutto ,fa il primo e il secondo episodio? E lei a rispondere che «io in quel momento mi sentivo quasi come arresa.. quando camminavo non sentivo i piedi per terra».

Oppure: non è scappata perché «prendi e te ne vai.. sì, ok. però io avevo sotto la mia responsabilità Roberta, perché era mia ospite in Sardegna, no?»

Quando parla del fatto che la costrinsero a bere vodka, per dire
(«Uno mi ha preso per i capelli e mi hanno messo la bottiglia in bocca»)la pm obietta: «E tu le mani dove ce le avevi?». «Le mani ce l’ho giù. No eee…non ho reagito». «Come mai?».

«Mi sono lasciata andare…un po’ per paura… un po’…perché non ci capivo più niente… non capivo veramente cosa mi stesse succedendo…una serata così confusa non l’ho mai vista.

Cioè, non lo so sinceramente.
In quel momento mi volevo lasciar andare e…non so, mi sentivo morire… dentro… vuota completamente.

In più, cioè ero come… lascia fare quello che vogliono…non ce la faccio più a reagire». In un altro punto del verbale spiega che «poi ero anche terrorizzata, non sapevo cosa stesse succedendo, obiettivamente non te l’aspetti una cosa del genere».

Alla fine Silvia passa questa specie di «esame», si va verso la richiesta di rinvio a giudizio per i ragazzi, anche se i tempi si allungano perché i difensori di tre di loro hanno chiesto un nuovo interrogatorio.