Una storia a lieto fine. Quella della piccola Luisa, una bambina di 5 anni, colpita dal Covid circa un mese fa, salva grazie al pronto intervento dei medici del Santobono. A raccontare l’ansia, e la preoccupazione, vissuta dagli stessi specialisti dell’ospedale pediatrico, è il direttore dell’Unità operativa di pronto soccorso, Vincenzo Tipo, che affida le sue parole a un post su Facebook.
Luisa prende il virus insieme con tutta la famiglia ma per fortuna è asintomatica e torna negativa quasi subito. Così riprende la vita di sempre: esce, gioca, si diverte e – scrive il direttore del Pronto soccorso – «è di nuovo felice». Una felicità destinata a durare poco: «Dopo circa tre settimane, – aggiunge il medico – compare febbre altissima, cefalea, congiuntivite e un violento dolore addominale. Viene portata in un ospedale della sua area di residenza. Ed ecco la diagnosi: peritonite. Da qui il trasferimento in sala operatoria». Per fortuna – scrive ancora Vincenzo Tipo – «un medico illuminato decide di non operare e trasferirla al Santobono. Non è convinto di quella diagnosi, c’è qualcosa che non quadra». Quando la piccola arriva al Santobono le sue condizioni sono già gravi: «Esami, radiografie, ecografie, visite specialistiche. Alla fine nessun dubbio: la bambina è affetta da Mis-C, ovvero “sindrome infiammatoria multisistemica correlata al Covid”». Fatta la diagnosi i medici partono subito con le terapie convenzionali ma niente sembra farle effetto. «La bimba peggiora – spiega Tipo – decidiamo di aumentare i dosaggi, modifichiamo le cure, associamo più farmaci. Luisa continua a non rispondere, il suo cuore inizia a dare segni di sofferenza: siamo a un passo dalla rianimazione». Non c’è molto da fare. «Ci presentiamo dalla madre, senza il coraggio di guardarla negli occhi, con un foglio tra le mani. È la richiesta di consenso a una terapia cosiddetta “off label”». Ovvero l’impiego di farmaci al di fuori delle condizioni autorizzate dagli enti predisposti. «La madre chiede, vuol sapere che cosa sta accadendo, è preoccupata ma firma, percepisce l’ansia nei nostri gesti. In breve tempo il farmaco arriva in reparto, lo iniettiamo. Intanto si fa sera, torniamo a casa, ma i nostri cellulari restano accesi: ci scambiamo messaggi di continuo. Al mattino seguente siamo tutti lì prestissimo. La collega del turno di notte ci accoglie con un gran sorriso: è sfebbrataaaaa!!!».