“Non perdonerò mai che mio fratello Stefano sia morto tra dolori atroci, da solo, solo come un cane, pensando che la sua famiglia, che sempre c’era stata, lo avesse abbandonato”. Così Ilaria Cucchi sentita nel processo sui presunti depistaggi seguiti alla morte del fratello, che vede imputati otto carabinieri. Ilaria Cucchi, che ha ricostruito la vita di Stefano prima dell’arresto e la battaglia successiva per cercare la verità sulla morte, ha mostrato in aula la foto del volto del cadavere del fratello. “Il suo viso dopo la morte era qualcosa di agghiacciante, mi colpì l’espressione – ha ricordato – che raccontava la solitudine, il dolore, l’umiliazione”.
“Io e Stefano eravamo legatissimi, era la persona che più amavo al mondo”, ha detto. “La decisione di fare scattare e rendere pubblica quella foto fu difficile: dovetti discutere con i miei genitori, mia madre diceva ‘Stefano non avrebbe mai voluto mostrarsi così’ e io le risposi ‘Stefano non sarebbe mai voluto morire così. Capii che dovevamo dimostrare che Stefano stava bene prima dell’arresto e il giorno del funerale decidemmo di fare scattare quelle foto. Se non lo avessimo fatto – ha sottolineato – non saremmo a questo punto”.
“Il primo processo fu un incubo, un processo a mio fratello, un processo ad un morto.
A ogni udienza mi dicevo ‘Stefano mio a cosa ti stanno sottoponendo’. Si parlava di tutto fuorché del motivo per cui eravamo lì: della vita di Stefano, della sua magrezza, di che fine aveva fatto la cagnetta, dei rapporti nella nostra famiglia”, ha proseguito. “A un certo punto – ha ricordato riferendosi a un consulente medico legale – ho sentito parlare anche di frattura da bara, come se mio fratello se la fosse fatta da morto.
La sentenza di primo grado stabilì che la morte di Stefano era da attribuire a una colpa medica. Amici e parenti degli assolti insultarono e umiliarono la mia famiglia mostrando anche il dito medio”.
“Io non ho mai voluto un colpevole a tutti i costi, ho sempre cercato la verità”, ha detto Ilaria Cucchi ripercorrendo nell’aula bunker di Rebibbia l’iter giudiziario sulla morte del fratello. La sorella di Stefano ha poi letto in aula una mail ricevuta da un avvocato che, dopo aver visto le foto del fratello, aveva ricordato di averlo incontrato mentre veniva portato all’udienza di convalida.
L’avvocato racconta di aver visto Stefano mentre era casualmente davanti all’aula 17 “aveva il viso gonfio, un’aria provata e difficoltà a camminare, non sollevava del tutto i piedi da terra. Era in uno stato di palese difficoltà”.
Ilaria ha letto anche il testo della lettera che suo fratello scrisse a Francesco, un operatore della comunità di recupero poche ore prima di morire: “Sono giù di morale, volevo sapere se potevi fare qualcosa per me, ps per favore almeno rispondimi, a presto”.
“Il Ceis ce la fece avere nel febbraio del 2010, quella lettera – ha detto Ilaria Cucchi – era la prova che Stefano non voleva morire, la calligrafia racconta la sua sofferenza, doveva stare male per scrivere in quel modo”.