Suora, lesbica, blasfema e Santa. ” Benedetta”, il film scandalo che ha sconvolto Cannes

10 Luglio 2021 - 12:08

Suora, lesbica, blasfema e Santa. ” Benedetta”, il film scandalo che ha sconvolto Cannes

Suora, lesbica e Santa. “Benedetta”, il film

scandalo di Cannes, è uno sberleffo alla critica

paludata

Era annunciato come l’immancabile film-scandalo del festival e in effetti, per chi si accontenta, può andare.

Sesso e religione, violenze assortite, una statuetta della Madonna trasformata in dildo. Alla base c’è la vera storia di Benedetta Carlini, badessa di Pescia dal 1591, visionaria mistica processata per la relazione con una giovane suora.

Ma rispetto alla credibilità storica e alla vicenda, già raccontata da Judith Brown nel libro Atti impuri – Vita

di una monaca lesbica nell’Italia del Rinascimento, pubblicato in Italia da Il Saggiatore nel 1989, il regista Paul

Verhoeven, 82 anni, si prende molte libertà. I dialoghi e i personaggi sono contemporanei, così come il discorso su sesso, donne, potere e denaro. Quest’ultimo è forse il vero tema: nel film tutto si vende e si compra ed è deciso dalle differenze di classe.

Insomma, Paul Verhoeven torna a dare scandalo: cinque anni dopo «Elle», il regista olandese ha presentato

sulla Croisette «Benedetta», un’altra pellicola controversa che non ha lasciato indifferenti critica e pubblico del Festival di Cannes.

Il film è ispirato a una storia vera, quella della mistica Benedetta Carlini, raccontata da Judith Brown in

«Atti impuri» del 1986: la giovane Benedetta, figlia di una famiglia benestante, entra a soli 9 anni nel convento

di Pescia, in Toscana, in un periodo in cui la peste nera ha sparso miseria in tutta la penisola.

La giovane suora ben presto inizia ad avere strane visioni, tra l’erotico e il religioso, che suscitano allo stesso tempo perplessità e fascino all’interno del convento. Benedetta, intanto, si avvicinerà a una novizia con cui creerà un legame sempre più intimo.

Fin dal soggetto si coglie facilmente come il materiale di partenza sia perfettamente nelle corde di Verhoeven,

regista che per buona parte della sua carriera ha giocato con l’erotismo, cercando di provocare e scardinare le

regole del cinema più convenzionale: basti pensare a «Basic Instinct» o «Showgirls», oltre al già citato «Elle», per farsi un’idea in tal senso.

La prima cosa che colpisce vedendo «Benedetta» è la buona cura fotografica delle immagini: il direttore della fotografia,

Jeanne Lapoirie (che annovera tra i suoi lavori precedenti «8 donne e un mistero» e «120 battiti al minuto»), ha dato

vita a efficaci giochi di luci e ombre, capaci di mostrare tutte le controversie psicologiche del personaggio principale

della pellicola.Nonostante la complessità della tematica, Verhoeven punta spesso su un registro grottesco e kitsch, che finisce per stonare con il resto della narrazione, soprattutto con l’approssimarsi della conclusione.

Il film riesce ugualmente a risultare godibile e tutt’altro che banale, ma il disegno d’insieme ha alcune crepe che non permettono un totale coinvolgimento e la continua alternanza tra un registro profondo e uno più superficiale finisce più per danneggiare che per stimolare riflessioni degne di nota.

Buono il lavoro di un cast in cui, oltre alla protagonista Virginie Efira, sono da segnalare Charlotte Rampling, Lambert Wilson e Daphne Patakia, quest’ultima nei panni della suora con cui Benedetta ha una relazione.

The Worst Person in the World

In lizza per la Palma d’oro è stato presentato anche «The Worst Person in the World» del norvegese Joachim Trier, che torna in concorso a Cannes sei anni dopo «Segreti di famiglia».

Si tratta di un bel passo avanti per Trier rispetto ai suoi lavori precedenti, perché in questa pellicola, che racconta la maturazione emotiva e sentimentale di una trentenne, si mescolano efficacemente vari registri, dalla commedia al dramma, passando per il melò.Attraverso passaggi graffianti e sarcastici, la sceneggiatura costruisce una protagonista ben sfaccettata, credibile e con cui è facile immedesimarsi.

Diviso in vari capitoli, «The Worst Person in the World» è un prodotto semplice ma incisivo, un po’ altalenante nella parte centrale ma comunque dotato di tanti spunti brillanti che lo rendono riuscito e godibile.Grande prova della protagonista Renate Reinsve, che potrebbe dire la sua per la Palma come miglior interprete femminile della kermesse.

Uscito dall’anteprima mondiale di Benedetta, diciasettesimo lungometraggio di Paul Verhoeven, mi sono sentito allibito, pieno di dubbi e – leggendo qualche commento a caldo della stampa internazionale – inadeguato rispetto al mio ruolo di recensore.

A prescindere dal freddissimo e fugace applauso tributato dalla Sala Debussy ai titoli di coda del film, Benedetta si è presentata al mondo come una pellicola vogliosa di provocazione, black humor ed efferatezza visivo-contenutistica.

L’idea del cineasta olandese era – abbastanza evidentemente – quella di spingere sul pedale dell’acceleratore affrontando (e smembrando) temi delicati come la religione (e l’istituzione ecclesiastica), l’autoaffermazione personale e i tabù sessuali, ma non solo.

In Benedetta gli elementi sopracitati ci sono tutti, ma mal amalgamati, esasperati fino a raggiungere (e, a mio modo di vedere, superare ampiamente) il limite del kitsch e del cattivo gusto.

[Scrivere “Madonna-dildo” nella didascalia, in questo caso, non corrisponde a blasfemia]

Il comparto tecnico – quasi – in toto è da dimenticare: la fotografia ballonzola alticcia tra l’Hercules di Kevin Sorbo, anonimi soft porno (Italia Sette Gold mode: ON) e una brutta novelitas.

Il cast – che al suo interno vanta nomi altisonanti come quello di Charlotte Rampling – viaggia completamente

a briglia sciolta, quasi non esistesse una direzione di regia e offrendo performance abbastanza desolanti; costumi

e scenografie non sono mai credibili e fanno rimpiangere set e prop di un “qualsiasi” Ladyhawke di passaggio.

Il montaggio di Job ter Burg, seppur non brillantissimo, funziona ma c’è da segnalare come molte sequenze

sembrino essere state inserite nel prodotto finale per l’assenza di take di riserva.

Benedetta è un film destinato a spaccare profondamente il pubblico, un film ambiguo che non dichiara in maniera

netta il tono narrativo e il suo intento di fondo.

Un prodotto senza meta che ha condotto alla risata il pubblico in sala su momenti che avrebbero dovuto essere

invece solenni, angoscianti quanto una tortura medioevale o appassiona(n)ti e intensi come il primo incontro erotico fra due giovani donne.

Un film destabilizzante, che lascia lo spettatore stordito per quanto ha appena visto e che potrebbe non fornirgli una chiara sensazione rispetto a quella che dovrebbe essere la sua reazione allo spettacolo: indifferenza, sarcasmo, ilarità o confusione?

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