Segregata a 13 anni, Maria Teresa è morta incatenata dopo anni di stupri, abusi e torture
È il 1968: l’Italia scanzonata del boom economico sta per lasciare il posto a quella buia della ‘lunga notte della Repubblica’; i rapimenti, non solo politici, ma anche quelli di ricchi rampolli e imprenditori, sono all’ordine del giorno finanziando sia le organizzazioni terroristiche che la mafia. Pertanto, in un simile momento storico, quando a Villafranca d’Asti, piccolo paesino piemontese, viene rapita la piccola Maria Tersa Novara, 13 anni, figlia di contadini, la polizia non sa proprio in che direzione cercare.
È una notte di dicembre quando due uomini, probabilmente due ladri di appartamento si introducono in una villetta di Villafranca D’Asti. Non avendo trovato quello che cercavano decidono di non andare via a mani vuote e prelevano una tredicenne. È Maria Teresa, ospite a casa degli zii per poter frequentare la scuola. Nelle prime ventiquattrore non arriva alcuna richiesta di riscatto: al suo posto i familiari di Maria Teresa si vedono recapitare un biglietto firmato dalla piccola in cui lei stessa dice di essersene andata di sua volontà. Il messaggio, verosimilmente un depistaggio, accredita l’ipotesi di una ‘fuga d’amore’, sebbene la bambina sia stata prelevata da estranei con un effrazione domestica, di notte.
E mentre a casa i Novara non smettono di sperare di vedere riapparire la loro bambina, lei si trova a pochi chilometri di distanza. I suoi rapitori, Bartolomeo Calleri e Luciano Rosso la tengono rinchiusa in una cascina nelle campagne di Canale, un bugigattolo scavato sotto terra, dove Maria Teresa è tenuta incatenata come un animale e dove è costretta a subire abusi ripetuti. Qualsiasi scopo avessero quando l’hanno rapita, i due sequestratori hanno deciso di venderla ai pedofili. Tra chi approfitta di quella ragazzina per soldi ci sono persone del paese, anche notabili, ma nessuno di loro pensa a denunciare. Nel frattempo i rapitori-orchi continuano con i loro furti d’appartamento. Sorpresi a rubare in una casa di Torino, per sfuggire all’arresto, si gettano nel Po: Calleri affoga; Russo, invece, viene arrestato e naturalmente, per non aggravare la propria posizione, tiene nascosto il fatto di aver segregato una bambina.
La condanna a morte
Nel frattempo la polizia va a fare dei sopralluoghi al covo dei ladri, la prima volta non trova niente, la seconda, scopre la botola che porta al seminterrato dove, incatenata e ridotta ormai all’ombra di se stessa, Maria Teresa è morta asfissiata. Qualcuno, infatti, ha otturato la presa d’aria che areava la prigione. Accanto al corpo, ancora caldo, c’è un biglietto:
Sono Maria Teresa Novara, voglio essere riportata nel paese dei miei genitori
La memoria negata
Il caso di Maria Teresa Novara ha una grande eco, tuttavia viene viene trattato dai giornali in maniera completamente distorta. La stampa scrive di una ‘fuga d’amore’ e della scelta della ragazzina di percorrere la ‘strada del vizio’. Accusato di omicidio, Luciano Russo, il suo carceriere, viene prima assolto per insufficienza di prove, poi, in appello, condannato a 14 anni di reclusione.
Nell’Astigiano la morte di quella bambina rapita per sbaglio da due topi d’appartamento e morta dopo un lungo martirio, viene dimenticata presto. Dovrà attendere che il libro Anatomia di un delitto, di Marilina Rachel Veca e Stefano Cattaneo, restituisca, almeno fra le pagine di un romanzo, un po’ di dignità alla figura di Maria Teresa, vittima violata due volte: dagli orchi e da chi le ha negato una memoria dignitosa.