Roberto Baggio, il sogno anarchico del Re nudo

19 Febbraio 2021 - 7:30

Roberto Baggio, il sogno anarchico del Re nudo

Il Mondo si è inchinato per omaggiare il “Divin Codino” nel giorno del suo compleanno. Ieri ha compiuto 54 anni ed il calcio l’ha celebrato come un Totem assoluto.

Roberto Baggio è stato il campione differente, l’unico idolo senza maglia. Con un enorme popolo di tifosi trasversali che vedono in lui il “Re nudo”, senza appartenenza di Club. Questa è la reale e profonda differenza tra Baggio e il resto della Storia: l’assenza di squadra.

Rivera è stato il Milan, Mazzola l’Inter, Riva il Cagliari, Totti la Roma, Del Piero la Juve. Baggio è solo di Baggio. Il suo è un culto apolide che trova identità e dimora immortale solo nell’amore della sua gente.

Non si ricorda uno scudetto di Baggio, anche se ne ha vinti due con Juventus e Milan. Non si ricorda una sua stagione con un colore addosso più splendente di un altro. Baggio non appartiene a nessun altro che a se stesso. Esiste il gol di Baggio e basta.

Come se quel gesto semplice trasfigurasse luce propria, assoluta e accecante, senza paesaggi e contorni. Eppure per Baggio scoppiò una rivoluzione, Firenze si bloccò come se si fosse tornati agli Anni di Piombo.

Il Conte Pontello diventò il nemico delle Brigate Viola, perché voleva portare Roberto alla Juve in cambio di impensabili miliardi. Il colpo di stato riuscì nell’estate del 1990, l’anno dei Mondiali italiani.

Roby si sposa con la Signora, ma non sarà mai vero amore. Nel giorno della presentazione a Torino gli misero una sciarpa bianconera al collo, ma lui se ne liberò subito, dicendo che faceva troppo caldo.

Il suo procuratore, Caliendo, sbiancò. Ma poi nella prima sfida tra la Juventus e la sua Fiorentina, gli lanciarono una sciarpa viola dalla Curva Fiesole e lui se la mise subito addosso baciandola.

E in quella stessa partita si rifiutò di calciare un rigore. Giusto per capire chi era l’amante e chi era il vero amore. Non lo amò mai l’Avvocato Agnelli che deragliò dagli abituali accostamenti artistici che era avvezzo adottare per i suoi campioni.

Lo marchiò con l’impietosa definizione di “coniglio bagnato”. Può bastare per finire, ancor prima di cominciare. Nonostante a Torino vinca la ​Coppa Uefa e il Pallone d’Oro nel 1993, la sua avventura è segnata.

Baggio cerca affetto lontano da Casa Savoia, dove nel frattempo sta nascendo la stella di Alex Del Piero. Gianni Brera “isola” Gianni Agnelli e scrive sul marmo il vero soprannome di Baggio che da coniglio bagnato passa a “Divin codino”.

Giocherà nel Milan, poi nel Bologna, e ancora il ritorno a Milano con l’Inter. Fino al dulcis in fundo con il Brescia dove prende le sembianze di un vero Dio in Terra quando parla col ginocchio per farlo guarire, come da precetti buddisti.

E in 4 stagioni segna una cinquantina di gol, l’ultimo a 37 anni, dando alla sua vita i connotati di un Miracolo. La sua unica maglia è stata quella della azzurra della Nazionale, dove conosce l’estasi e il tormento.

Nel suo Mondiale, quello del 1994 negli Stati Uniti, porta l’Italia di Sacchi in finale segnando 5 gol fondamentali. Poi però contro il Brasile calcia un rigore altissimo nel cielo di Los Angeles.

E forse quel tiro, che valse lacrime amare, gli suggerì il titolo della sua travolgente biografia: “Una porta nel cielo”. Dove intreccia calcio e spiritualità, filosofia e religione. Baggio è stato un monumento di se stesso senza esserne cosciente.

Il suo profilo basso si è trasformato in un’invasione di personalità, agitata da una forza manichea, traducendolo nell’eroe popolare vessato dai cattivi, adorato dai buoni. L’icona romantica e universale del bello che trafigge il brutto.

Il paladino impavido che polverizza il malvagio. Perché Roberto Baggio è solo davanti alla gloria. Non porta colori, non assicura lampi di vittoria, non definisce epoche. E’ semplicemente il trionfo anarchico che tutto il Mondo ha sempre sognato.

Bruno Marra