Dio è morto. Viene in mente il titolo di una grande canzone di Francesco Guccini, portata al successo dai Nomadi, per commentare la morte di Diego Armando Maradona. Una notizia che non avremmo mai voluto ricevere, piombata sul mondo intero, non solo quello del calcio, come un micidiale colpo di maglio.
Ma la fase del dolore struggente, acuto e profondo insieme, ha ben presto lasciato il posto alle celebrazioni. Tantissime, di ogni tipo, istituzionali e personali, di amici, compagni di squadra, avversari, tifosi, gente non interessata al calcio. Sentite e sincere, vere, salvo qualcuna incoerente rispetto ai giudizi astiosi su Diego nel corso della sua esistenza segnata da trionfi esaltanti e rovinose cadute.
Forse perché il fuoriclasse argentino non ha mai avuto buon feeling con i potentati calcistici, che l’hanno sfruttato ma mai amato. Credo che sia giusto ricordarlo, anche se forse non è questo il momento delle polemiche, ma di qualche puntualizzazione, sì. Una considerazione, su tutte, mi è piaciuta tra le tante ascoltate nelle lunghissime ore successive allo sconvolgente annuncio della scomparsa di Maradona.
Impossibile e fuorviante, scindere l’immenso campione dall’uomo fragile e tormentato, toccato dalla grazia del Signore. La concessione di un talento ineguagliabile sia pur travolto da un benessere impossibile da gestire per uno con le sue origini ambientali e famigliari.
Allora, ci consola pensarlo, Dio non è morto, si è solo trasferito in un ambito diverso, a lui più congeniale, sul suo vero trono. Al diavolo chi dovesse parlare di blasfemia. E’ morto, certo, un corpo trasformato non tanto dal trascorrere del tempo quanto da eccessi e stili di vita autodistruttivi.
Eterno, l’aggettivo più ricorrente, sarà, invece, il ricordo dell’artista, del genio, dell’uomo. Ha regalato gioia e sorrisi soprattutto a una città, Napoli, eletta a sua patria di adozione e riscattata attraverso trionfi sportivi da secoli di mortificazioni; del personaggio ‘contro’, sempre dalla parte degli ultimi, dei più deboli, dei derelitti della terra.
Infatti anche dopo essere diventato primo non aveva mai dimenticato di essere stato uno di loro. Del polemista scomodo e ingombrante che non si è mai piegato ai diktat dei poteri forti. Ha pagato sempre e soltanto sulla sua pelle i tantissimi errori commessi. In compenso a milioni di calciofili ha regalato gioie ed emozioni che sarà difficile far rivivere.
Alcune discutibili ricostruzioni della vita di Maradona hanno messo in risalto soltanto le sue cadute, le frequentazioni pericolose, la dipendenza da droghe e alcol. Si sono trascurati gli aspetti più nobili del suo carattere: la generosità, nascosta e riservata, la solidarietà, i valori semplici e genuini, il carattere dell’uomo.
Diego era da poco arrivato a Napoli quando io, da giovane giornalista, ebbi l’occasione di assistere alla sua visita all’Istituto Colosimo per bambini ciechi. Al suo arrivo chiese al capo ufficio stampa del Napoli Carlo Iuliano, che lo accompagnava, di allontanare i cronisti intervenuti per raccontare la giornata.
“Ragazzi – disse risoluto – sono qui per stare con i bambini e non per farmi pubblicità. Se no vado via”. Momenti bellissimi, di grande tenerezza e umanità, con il fuoriclasse impegnato a giocare al calcio con i piccoli ospiti della struttura utilizzando i palloni sonori.
Sono passati tanti anni da allora e in seguito, per motivi professionali, ho vissuto con Maradona altri momenti. Quello, in particolare, rimarrà impresso nella mia memoria. Per sempre. A ben rivederci, quando sarà, eterno Diego.
Pasquale de Simone