C’è un termine napoletano che lo identifica: frevaiuolo. Che tradotto in senso lato indica una persona che non sa perdere. Ecco, Antonio Conte è un frevaiuolo.
Quando le cose vanno male non accetta il contraddittorio. Si chiude come un riccio, faccia torva e lunghi silenzi e infine risposte senza alcun garbo. Vive male perché soffre della sindrome dell’accerchiamento.
E’ sempre in lotta con qualcuno, anche quando vince. Raramente, di questi tempi. In pieno precampionato sbatté la porta di casa Juve, la sua casa, perché voleva sempre di più.
Non si può andare in un ristorante da mille euro con cento euro in tasca. E volò verso Londra. Dove vinse col Chelsea e dove l’indussero ad un investimento che si rivelò una truffa: volati via trenta milioni.
Forse sarà per questo che non ride mai. Ma la posizione è solida. Ricco l’ingaggio che Zhang gli ha corrisposto. Suning, che spende e spande a sua richiesta, che vince però lo scudetto in Cina mentre l’Inter, il giocattolo italiano, è sempre più triste.
Fuori dall’Europa che conta. Fuori dall’Europa minore. Conte ha bisogno di crearsi nemici dovunque, anche in casa. Da un po’ ce l’ha con Eriksen, il principe di Danimarca che mette in campo per due-tre minuti finali.
L’eccezione, contro lo Shakthar nella partita decisiva: 5 regolamentari più 6 di recupero. E per poco non segnava il gol che avrebbe significato la qualificazione per gli ottavi della Champions, ricchi premi e cotillons.
La colpa del danese? Aver dichiarato in un’intervista in patria: sto bene, se non gioco non dipende da me. Un affronto, parole di lesa maestà per il Conte che ha scombussolato i conti di Suning.
Sul lavoro è maniacale, per carità. Percorre più chilometri lui lungolinea che i suoi giocatori in campo. Sembra un vigile che dirige il traffico, li assilla, indica posizioni, sollecita marcature, invita a scalare o ad avanzare.
Fossi uno di loro, direi: mister, e basta! La sua Inter è di una noia mortale. Sempre identica, senza fantasìa. Ogni tanto una sfuriata, un po’ d’orgoglio. Ma niente di che. Palla a Lukaku e sponda del belga per Lautaro.
Questo lo schema principe. Ama il bigliardino e infatti i suoi giocatori si muovono – si fa per dire – allineati come gli omini del calciobalilla. Ha un organico possente, muscolare.
Come piace a lui. Forse perché ha vissuto una vita da mediano, impreziosita però da incursioni spesso risolutive. Tutti soldatini e avanti march. Se vede che un sergentino possiede classe e tecnica lo rimette subito in riga.
E’ il caso di Eriksen che di classe ne ha da vendere. Contro gli ucraini del Donetsk ha messo in campo i suoi incursori, la sua truppa scelta. Gol? Nisba. Soltanto nel finale qualche piede buono.
Poi, il trombettiere D’Ambrosio ha suonato la ritirata. Tutti a casa. Lo Shakthar almeno in Europa League ci sta.
Adolfo Mollichelli