L’immagine fornita dal campionato di calcio di serie A, durante questa fase pandemica, non è, per alcuni versi, edificante. Sospetti, isterie in campo e fuori, accuse neanche tanto velate, deficit di bilancio da far arrossire un bancarottiere.
Non considerando l’importanza sociale dello sport, chi guadagna tanto dovrebbe sentire l’obbligo di essere da esempio per i tantissimi tifosi, in particolare gli adolescenti. E’ più probabile invece che finiscano con il dover prendere esempio dallo sport dilettantistico, e dai bambini.
La ripartenza però impone ancora più attenzione. E diventa ancora più attuale la CARTA DEI DIRITTI DEI BAMBINI della Figc, che stabilisce norme etiche per lo sport in età evolutiva.
Una serie di diritti. Innanzitutto quello di beneficiare di un ambiente sano e di praticare sport in assoluta sicurezza. Segue quello di partecipare a competizioni adeguate all’età, seguendo allenamenti con giusti ritmi di apprendimento.
Poi quello di non essere un campione. ancora quello di essere circondato e preparato da personale qualificato. Infine quello di divertirsi e giocare. Norme semplici e di buon senso, ma non sempre applicate.
Occorre che tutti gli operatori dello sport si impegnino. L’importanza dello sport nella crescita psico-fisica del bambino è fondamentale. La politica deve, o meglio dovrebbe, farsi carico di investire nelle strutture.
Ma anche nella scuola, ridando dignità alle ore di sport, importanti quanto quelle sulla cultura.
Gli addetti ai lavori non devono scimmiottare gli urlanti milionari delle panchine di serie A, ormai insopportabili anche per i calciatori professionisti. Gli episodi di Quagliarella e Lautaro Martinez lo testimoniano.
Ma anche i sanitari devono impegnarsi nella prevenzione e nel dialogo multidisciplinare, come i genitori. Basta assistere a un incontro di calcio fra adolescenti per ascoltare e osservare atteggiamenti di adulti invasati che vorrebbero riscattare le proprie frustrazioni sportive.
Assolutamente diseducativi, meriterebbero un Daspo. Bisogna sì ricominciare, ma farlo bene, lo dobbiamo alle nuove generazioni, già fin troppo penalizzate.
Franco Di Stasio (presidente S.I.O.S.)