Questa è la triste storia di Alessandra Taddei, 54 anni, insegnante alle scuole medie di Verbania.
Per tre volte, la donna è stata rimandata a casa dal pronto soccorso e curata con del paracetamolo, ma in realtà aveva un tumore al cervello.
La diagnosi è arrivata solo grazie a un ricovero al San Raffaele di Milano.
Dopo pochi giorni dalla sua morte il marito ha raccontato quanto accaduto.
Il 13 settembre si verificò il primo episodio con un primo accesso in pronto soccorso a causa proprio di un forte mal di testa che non sembrava passare, era il primo giorno di scuola: “Quella notte alle 3,07 andammo in pronto soccorso. Fu dimessa alle 4,44 – racconta il marito – anamnesi: cefalea senz’aura, presente da anni e acutizzatasi questa notte. Prescrissero delle gocce e paracetamolo”.
Poi altri due episodi simili: nel primo caso le dimissioni con anamnesi “crisi cefalgica in paziente affetta da emicrania” con aggiunta di paracetamolo 1000 al bisogno, nel secondo caso invece le dimissioni arrivarono solo due ore dopo. “Era la terza volta che tornavamo così chiesi di approfondire con esami diagnostici – continua l’uomo – loro rimandarono al 25 settembre, quando già avevamo appuntamento per una risonanza magnetica dopo esserci rivolti a un neurologo. Così ho deciso di andare dai carabinieri a Intra che mi hanno ascoltato, quasi piangevo nel raccontare quanto stava succedendo”.
Nonostante la richiesta di parlare con un medico il signor Costa non fu ascoltato, da qui la decisione di rivolgersi nuovamente ai carabinieri prima di partire, il giorno dopo, alla volta di Milano, su consiglio di una parente, viste le condizioni sempre più precarie della donna: “L’abbiamo portata al San Raffaele di Milano – spiega il marito – è entrata in codice arancione, alle 13. Le hanno fatto esami e Tac, alle 18 il medico mi ha spiegato che avevano trovato una massa voluminosa che premeva contro il cervello. Era il tumore”.
Alessandra Taddei ha combattuto un anno ma purtroppo lo scorso 20 agosto la sua battaglia è terminata: “Mi chiedo perché nessuno, vedendo che era un caso sospetto, non abbia mandato mia moglie a Domodossola o Novara dove c’è la neurologia, so che mia moglie non si sarebbe salvata ma almeno non avrebbe sofferto quei giorni in più finché siamo dovuti andare in Lombardia”.