Iniziata alle 10.34 la requisitoria dei pubblici ministeri Maria Carmen Fusco e Beatrice Siravo nel processo, nei confronti dell’ex comandante della stazione dei carabinieri Franco Mottola, suo figlio Marco, sua moglie Anna Maria e altri due carabinieri Francesco Suprano e Vincenzo Quatrale, per l’omicidio di Serena Mollicone, uccisa il primo giugno 2001 ad Arce.
In aula, dinanzi alla corte d’assise di Cassino, presenti quattro dei cinque imputati, assente Marco Mottola.
Le prime parole del pm Siravo sono state dedicate all’arma del delitto: la porta contro la quale sarebbe stata sbattuta la 18enne la mattina del primo giugno e la relazione della professoressa Cristina Cattaneo.
Il pm Siravo: “La porta è prova rappresentativa. E’ l’arma del delitto al di la di ogni ragionevole dubbio.
Le consulenze tecniche sono il cuore di questo processo”.
Poi ha argomentato: “Il cranio di Serena può aver creato quel buco sulla porta? La Cattaneo ha risposto: ‘assolutamente sì’. La testa s’incastra perfettamente con il segno di rottura della porta.
La Cattaneo ha applicato a Serena il metodo Yara Gambirasio, un approccio globale a tutto il corpo affinché emergesse qualche traccia: ha immerso il corpo in un bagno, ha filtrato, ha rilevato degli elementi”.
Poi il passato all’analisi degli altri elementi di prova ed ha detto: “Vi dimostriamo che l’assassino è Marco Mottola, a lui si arriva anche senza considerare la testimonianza di Santino Tuzi che è pienamente attendibile”.
I presunti depistaggi iniziali che il maresciallo Franco Mottola avrebbe architettato per allontanare i sospetti dal figlio, come le disposizioni di ricercare un’auto rossa e non una Y 10 bianca, identica a quella del figlio, dove c’era il sospetto dell’ultimo avvistamento della 18enne.
La dichiarazione del brigadiere Santino Tuzi (morto suicida), rilasciata nella primavera del 2008, quando riferì di aver visto una «ragazza», descrivendola come Serena Mollicone, entrare in caserma la mattina del primo giugno e dirigersi agli alloggi di servizio.
La porta, analizzata dalla professoressa Cristina Cattaneo, è stata ritenuta, indirettamente.
L’arma del delitto perchè ci sarebbe compatibilità tra il segno di rottura riscontrato ad un altezza compatibile con quella della studentessa e la frattura cranica provocata dall’urto.
I frammenti piccolissimi di legno che i Ris hanno riscontrato tra i capelli della vittima apparterebbero alla porta.
Ci sono poi le micro tracce di vernice isolate sul nastro adesivo utilizzato per bloccare il corpo di Serena che sarebbe compatibili con quella della parte esterna della caldaia che c’è su un balcone dell’alloggio dove si sarebbe consumato il delitto.
Infine l’analisi delle larve di mosca verde (nome scientifico lucilia sericata, appartenente alla famiglia Calliphoridae).
Dimostrerebbero che il corpo è stato portato nel boschetto di Fonte Cupa a Fontana Liri tra la mezzanotte del primo giugno e l’alba del 2 giugno e dunque la morte sarebbe avvenuta nel primo pomeriggio del giorno dalla scomparsa.
Ci sono poi decine di testimonianze che l’accusa valorizzerà per dare corpo alla ricostruzione eseguita con le indagini riaperte nel 2016.
Le difese degli imputati (rappresentate dagli avvocati Francesco Germani, Piergiorgio Di Giuseppe, Mauro Marsella, Enrico Meta, Emiliano Germani, Cinzia Mancini, Francesco Candido e Paolo D’Arpino), nel corso dell’istruttoria dibattimentale hanno già contestato punto per punto la ricostruzione eseguita dalla procura.
Proprio nelle ultimi due udienze, soprattutto la difesa Mottola, ha puntato molto sul mistero legato alle sosia di Serena dopo che la titolare di una pizzeria di Isola del Liri ha riferito di averla vista nel suo locale tra le 14.30 e le 15 del primo giugno 2001.
C’è stato il sospetto che fosse una sosia, per cui sono state chiamate in aula due ragazze che all’epoca somigliavano alla studentessa, ma entrambe hanno negato di essere state in pizzeria quel giorno a quell’ora.
Anche questo mistero, l’ultimo in ordine di tempo, dovrà essere chiarito.