Chi è l’eroe? Secondo il dizionario italiano Sabatini-Coletti “ nel mito classico, semidio o uomo dotato di virtù eccezionali e autore di gesta leggendarie“.
I libri di storia, in unione ai racconti di antenati e genitori, ci hanno tramandato straordinari esempi di personaggi illustri. Fieri combattenti di tutte le guerre, autori di imprese straordinarie.
Ma anche gente comune i cui nobili e coraggiosi gesti sono rimasti scolpiti nella memoria collettiva. Estensivamente, liberi dal timore di cadere nella retorica, il termine può essere utilizzato per descrivere Paolo Rossi, di professione semplicemente calciatore.
Eroe sportivo di un campionato mondiale. Quello che nel 1982 grazie ai suoi gol decisivi innalzò la nazionale italiana guidata da Enzo Bearzot sul trono più alto. Se n’è andato in questi giorni a soli 64 anni, qualcuno più di Maradona.
Il fuoriclasse assoluto che lui aveva sfidato e sconfitto in una delle gare più intense di quell’indimenticabile torneo. La scomparsa di Paolo Rossi ha sgomentato il mondo intero, non soltanto quello nel quale era stato grande e apprezzato protagonista.
Già, perché del calcio si può dire tutto e il suo contrario. Amarlo senza ‘se’ e senza ‘ma’, oppure segnalarne snobisticamente gli aspetti negativi, senza però poter negare la sua capacità di aggregare realtà distinte e distanti tra loro.
Pablito, come nell’82 lo soprannominarono gli spagnoli, uno di noi e infine anche di loro, con le sue reti ci trascinò al successo. Con una squadra capace di triturare avversari e pronostici avversi, dopo un avvio da brividi che aveva fatto immaginare il peggio.
Trionfatore e capocannoniere del mundial, riuscì a raggiungere il non facile traguardo di far innamorare anche i tifosi avversari. Lo piangono tra gli altri quelli brasiliani, la cui selezione – da tutti ritenuta imbattibile – Pablito mandò a casa con una tripletta rimasta leggendaria.
In quel grande paese lo celebrano come se fosse scomparso un loro beniamino. Una carriera in crescendo con punte di eccellenza nella Juventus, club con il quale vinse tanti trofei.
Dove si fece apprezzare per capacità tecniche e doti umane, nessuna delle quali è stata dimenticata da compagni e avversari. Una caratteristica che accomuna quelli che grandi lo sono stati davvero.
Un pallone d’oro, in tutti i sensi. Nel suo percorso professionale la macchia del calcioscommesse che lo accomunò ad altri colleghi, celebrati e non. Unica sbandata, curva pericolosa all’interno di un lineare percorso professionale e di vita.
Non è un caso se alcune delle cronache che oggi raccontano Paolo Rossi poco si soffermano su quella brutta pagina del nostro calcio. Come se fosse forte la voglia di far calare il perdono come un grande lenzuolo immacolato su un periodo che va ricordato, certo, ma senza strumentalizzazioni.
Personalmente dissento da coloro che si stanno sfilando dall’abbraccio collettivo che unisce amanti del calcio e sostenitori di tutte le squadre nel ricordo di Pablito.
Parlo anche di qualche tifoso napoletano, ancora offeso per il gran rifiuto che Rossi oppose al club azzurro, preferendo legarsi al Perugia prima di vestire la maglia dell’odiata Vecchia Signora.
Erano altri tempi, il Napoli di Ferlaino non era competitivo come sarebbe poi diventato. E la moglie del campione ha tenuto a spiegare che nulla di avverso alla città e al tifo azzurro guidò quella scelta sicuramente non facile, forse dolorosa.
Al ricordo aspro di un affronto preferisco quello dolce dei sogni che un eroe mite e sorridente mi ha regalato nel 1982, quando ero un ragazzo come lui.
Pasquale de Simone