Due giorni fa, un attacco con droni ha devastato la città di Kalogi, nel Kordofan sudanese. Il raid ha colpito un asilo nido e ha ucciso almeno 50 persone, tra cui 33 bambini. Tuttavia, il numero delle vittime potrebbe aumentare ancora, perché i soccorsi faticano a raggiungere la zona, come conferma un gruppo di medici locali.
Intanto, la BBC riferisce che la Rete dei Medici Sudanesi e l’esercito sudanese accusano le Forze di Supporto Rapido (RSF), il gruppo paramilitare coinvolto nella guerra civile, di aver lanciato l’attacco di giovedì.
Le RSF, però, respingono ogni responsabilità e, anzi, ribaltano le accuse. Sostengono che l’esercito sudanese abbia colpito il giorno successivo un mercato nella regione del Darfur, usando ancora una volta droni contro un deposito di carburante vicino al valico di Adre, al confine con il Ciad. Inoltre, oggi Emergency Lawyers, un gruppo che documenta le violenze sui civili, ha denunciato un nuovo attacco nella stessa area, aggravando ulteriormente la tensione.
Questo nuovo raid, quindi, mostra una chiara escalation del conflitto, che infuria da oltre due anni e mezzo tra le RSF e l’esercito sudanese. La regione del Kordofan, dopo la quasi totale conquista del Darfur da parte dei paramilitari, è diventata il nuovo epicentro della guerra civile. Nel frattempo, secondo l’ONU, più di 41.000 persone hanno abbandonato le proprie case solo da inizio novembre, mentre gli attacchi contro civili, scuole e ospedali continuano ad aumentare.
Dall’aprile 2023, cioè dall’inizio ufficiale del conflitto, la guerra avrebbe provocato più di 60.000 morti e costretto 11 milioni di persone a fuggire, trasformando il Paese in una delle peggiori crisi umanitarie del mondo.
Non a caso, il commissario ONU per i diritti umani Volker Turk ha avvertito che, senza un’immediata de-escalation, il Sudan rischia di rivivere atrocità già viste in altre regioni del Paese.
fonte fanpage
foto credit sole24ore