Massacrato di botte durante il turno di lavoro, finisce in coma: muore il tassista Gino
È morto Gino Ghirelli, il tassista toscano che era finito in coma dopo un violento pestaggio durante un turno di lavoro per le strade di Firenze. L’uomo, 69 anni, si è spento nelle scorse ore in ospedale dove era ricoverato da quel fatidico giorno del luglio del 2017. Da allora infatti era entrato in coma e non si è mai più ripreso.
“Ci ha lasciati il collega Gino Ghirelli, dopo oltre due anni di coma a pochi giorni da quel Natale che lui abitualmente festeggiava vestito da Babbo Natale, portando doni ai bambini presso le scuole dell’Isolotto, ci ha salutati” ha ricordato il presidente nazionale di Uritaxi, aggiungendo: “È stato vittima di una cultura bullista che non ha rispetto di chi lavora. Ci sono culture oggi, anche più arretrate della nostra, che hanno profondo rispetto per anziani, bambini e chi si trova sul lavoro. La tragica scomparsa di Gino è un monito al nostro tempo, alla nostra società, a ritrovare civiltà, sensibilità e delicatezza per tutto ciò. Un monito rivolto all’uomo della strada e a chi è guida, legislatore e giudice delle comunità. Noi lavoreremo per fare giustizia per questa sua violenta scomparsa. Ciao Gino e, seppur nella tristezza del momento, Buon Natale a te e alla tua famiglia”.
La tragedia si era consumata nella notte tra il 12 e 13 luglio 2017 quando il tassista ha avuto una discussione violenta con due ragazzi che erano saliti sul suo taxi. Non è chiaro cosa sia accaduto e cosa ha portato alla lite ma alla fine il tassista fu raggiunto da un violento colpo in testa che poco dopo lo portò al coma e ieri alla sua morte. Per quell’aggressione nessuno è finito in cella e nessuno è stato condannato. Il processo di primo grado infatti si è concluso con una sentenza di assoluzione per i due giovani che lo hanno colpito. Per il Tribunale di Firenze quella dei ragazzi fu legittima difesa, una reazione “proporzionata all’offesa”. Come ricostruito dal processo, infatti, il primo a colpire sarebbe stato il tassista.
Una ricostruzione non accettata dalla famiglia dell’uomo che ora attende il processo di appello che si aprirà il prossimo anno. “Un verdetto incomprensibile che continua a lasciarci di stucco, non volevo e non voglio che vadano in carcere sei anni, ma che vengano responsabilizzati” ha spiegato la figlia Silvia a La Nazione aggiungendo: “Non possono dire che non è successo niente. Mio babbo è stato due anni e mezzo confinato in un letto d’ospedale e ora non c’è più. Credo che a loro servirebbe un percorso per capire cosa hanno fatto, per essere responsabilizzati”.
(Fanpage)