Sono trascorsi cinque anni dal 27 novembre del 2015.
Giorno in cui la scena mondiale perde Luca De Filippo.
La scomparsa lascia ancora oggi, nel grande palcoscenico della vita, un vuoto tangibile. Un’epoca cieca, senza quasi più la guida di veri Maestri.
Capita che, anche a distanza di anni, si conservi ancora intatta, una sensazione di profondo e acuto dolore per la perdita di una persona cara.
È così che riaffiora, il sentimento di smarrimento per quel buio improvviso, sulla scena del 27 novembre 2015.
Così è, soprattutto quando ad andare via è un nobile “Artigiano della scena”.
Un Artigiano che entra, in maniera tanto dolce quanto naturale, nei cuori di chi ha avuto la fortuna di viverlo un po’ più da vicino o di quel vasto pubblico che l’ha sempre seguito e ammirato.
Quando un Attore, con il suo meraviglioso e tormentato mestiere, entra a far parte di una quotidianità delle persone
e – pur senza volerlo – riesce a farsi spazio, con discrezione, nella storia di una società, tanto variegata…
allora quell’Attore diventa realmente una persona di famiglia.
Se poi quello stesso Attore porta la sua “opera” silenziosamente a compimento, uscendo di scena in grande riservatezza e dignità, per andare via – senza neanche il tempo dei saluti -, accade che nel momento esatto in cui il sipario si chiude, quell’Attore lascia comunque e sempre dietro di sé una lunga scia di applausi…
Un applauso lungo una vita.
Ma la morte non è un punto fermo.
Anzi, Eduardo direbbe
«che nella vita dell’uomo c’è un punto di partenza e un punto di arrivo:
[…]il punto di arrivo dell’uomo è il suo arrivo nel mondo, la sua nascita. Mentre, il punto di partenza è la morte che, oltre a rappresentare la sua partenza dal mondo, va a costituire un punto di partenza per i giovani.
[…]Dunque, questi miliardi di punti di partenza, che miliardi di esseri umani – morendo – lasciano sulla Terra,
sono… LA VITA CHE CONTINUA.
La vita che continua è la tradizione.»
Luca nasce a Roma il 3 giugno del 1948, dalla relazione tra Eduardo De Filippo e la cantante-attrice, Thea Prandi.
Da bambino perde la sorellina piccola – Luisella – e la madre, a distanza di poco tempo l’una dall’altra.
Fa del palcoscenico la sua vita, fin dall’infanzia.
Nasce praticamente in scena.
Il suo primissimo debutto avviene infatti nel 1955, con la regia di Papà Eduardo, quando – a soli 7 anni – è un tenerissimo Peppeniello in “Miseria e Nobiltà” di Eduardo Scarpetta. In quell’occasione si presenta al grande pubblico, sia dal vivo che per le riprese televisive della commedia – dal Teatro Odeon di Milano.
È stato infatti tra i primi bambini a fare esperienza davanti al piccolo schermo in Italia.
Dopo i suoi studi, decide di dare il via alla sua carriera a tutti gli effetti, scegliendo per sé uno pseudonimo – Luca Della Porta.
A vent’anni vede il suo reale inizio, quello più consapevole e definitivo. In scena con un debutto da protagonista, per la regia di Gennaro Magliulo, ne “Il figlio di Pulcinella”.
Ma sia prima dell’importante debutto che dopo, continua la sua “gavetta” nell’attività teatrale.
Prima recitando solo in brevi battute, poi anche come datore di luci, aiuto amministratore, aiuto regista… e infine come attore.
Con lo studio, la pratica continua e la dignità di chi non vuole ereditare dal nulla un pesante patrimonio.
Ma si adopera invece – egli stesso -, lavorando sodo e con proverbiale serietà, per imparare un mestiere e continuare a portare avanti una ricca Tradizione.
Tuttavia – col tempo -, pur imparando a maneggiare i ferri del mestiere, pretende da se stesso sempre un po’ di più.
Per essere un “interprete”, come lui stesso ricorda.
Il suo primo insegnamento è infatti “il gelo”, ovvero l’austerità, la disciplina e il rigore delle abitudini teatrali di Eduardo. Con lui lavorerà dal ’69 all’80.
Saluti di Compagnia.
«Fare Teatro sul serio, significa sacrificare una vita!
Sono cresciuti, i figli e non me ne sono accorto… Meno male che mio figlio è cresciuto bene. (…)
Scusate se io faccio questo discorso e parlo di mio figlio.
Non ne ho mai parlato: si è presentato da sé, è venuto dalla “gavetta”… Sotto il gelo delle mie abitudini teatrali. (…)È stata tutta una vita di sacrifici… e di gelo! Così si fa, il Teatro! Così ho fatto».
Ma questo, Eduardo lo dice solo nella sua ultima apparizione a Taormina, nell’84. Fino ad allora, il percorso per Luca non è di certo in discesa.
Luca, Gennarino Palumbo ed Eduardo.«È difficile vivere con l’ombra eterna di un padre così?»,
«Con Eduardo abbiamo avuto le nostre litigate. Ma averlo avuto accanto è stato un privilegio di cui sono orgoglioso, come lo sono di appartenere a una famiglia che fa Teatro da tre generazioni».«È riuscito a distinguere il padre dall’artista?»
«Assolutamente sì. Eduardo era un padre anziano, con problemi di salute… aveva bisogno di me, in un certo senso.
Come artista, quando sono entrato nella sua compagnia, era già un maestro che godeva del rispetto di tutti.
Alle prove non mi sarei mai sognato di mettere in discussione una sua frase».
Le parole di Luca in un’intervista risuonano ancora come insegnamento, specie per chi vuole fare questo mestiere.
Una delle prime cose da apprendere è infatti l’importanza del rispetto e della disciplina in Teatro.
Luca matura nel tempo una sua personale poetica interpretativa, nel riscattare in qualche modo una tradizione cui appartiene.
A tal proposito, durante una vecchia trasmissione su Rai, “Storie”, Luca riflette – insieme all’amico, Pino Daniele e al giornalista napoletano, Gianni Minà che li ospita – e dice:
«Molto spesso, il concetto di tradizione in qualche modo ci sovrasta.
Per cui veniamo massacrati, oppressi.
Invece, la cosa bella è riuscire ad avere un proprio linguaggio – che è di “tradizione”, quindi proviene dalla propria vita(…).
Ma poi è bello andare avanti, attraverso i propri sentimenti e le proprie sensazioni. A un certo punto, si “tradisce” la tradizione, giustamente.
Per poter andare avanti.»
Infatti, Luca va avanti.
Pur continuando a riferirsi a una propria tradizione, a rispettarla ed amarla. Ma con l’esigenza di confrontarsi anche con altri mondi e diversi autori. In tal modo, riesce a inserire una propria “scuola” – come egli stesso afferma – all’interno di altri autori.
Che risulta poi essere – probabilmente – il migliore metodo per raggiungere una credibilità, sia umana che scenica.
Ecco perché Luca riesce poi a guadagnare l’autonomia da una grande eredità.
Pino Daniele alla chitarra, con Luca che interpreta delle poesie, al Teatro San Carlo, per il centenario della nascita di Eduardo.Per meglio riflettere sulla posizione di Luca relativamente alla funzione del Teatro, è opportuno citare le sue stesse parole.
In un’intervista nell’ottobre 2014, gli si chiede come siano stati, questi trent’anni senza Eduardo:
«Per il Teatro, trent’anni passati inutilmente. Perché si è fatto mettere ai margini della vita culturale, senza ribellarsi.
Umberto Bellissimo e Luca De Filippo in “Uomo e Galantuomo”.
Per Eduardo, il Teatro era “un servizio sociale: anche quando è intrattenimento – diceva – o serve per crescere o è inutile, fesso”.
Tutti i suoi testi parlano alle coscienze.»
In qualità di interprete, ormai padrone dei suoi strumenti, riesce poi a suonare corde di una dolcezza così commovente e una delicata malinconia così profonda e autentica… come forse neanche lo stesso Eduardo avrebbe saputo fare, pur con la sua grande maestria e il suo infinito ingegno.
Con un timido sorriso, così si esprime circa il fare un lavoro del genere:
«Chi fa Teatro… secondo me, lo deve fare perché è – in qualche modo – una ragione di vita!
Non c’è un altro modo di pensare il Teatro. (…)Quindi bisogna immaginare, fare e pensare il Teatro come un qualcosa che è necessario, che hai bisogno di fare. E, in questo senso, quindi te lo porti dentro tutto il giorno…Quando io lavoro a Teatro, non è che attacco alle sette e mezzo di sera e smonto a mezzanotte. Ma penso al mio spettacolo, penso al mio personaggio tutti i giorni, quotidianamente, ora dopo ora.
Per migliorarlo, per comprendere cosa un autore ha voluto dire con una parola e non con un’altra… le ragioni di una scelta.»
https://youtu.be/aGA7ojP0lR8 ( Un meraviglioso Luca in “Sabato, Domenica e Lunedì”, anno 1990.
Con la regia di Lina Wertmüller e il tocco magico delle deliziose colonne sonore, opera del Maestro Antonio Sinagra. )
In seguito, saranno numerose anche le apparizioni cinematografiche e televisive, accanto alla dura quotidianità teatrale.
Massimo Ranieri e Luca De Filippo ne “Il Ricatto”, anno 1989. Luca ne “La Casa al Mare”. Qui, in una foto di scena di Tommaso Le Pera.Nel 1981, fonda la Compagnia di Teatro di Luca De Filippo e riesce, appunto, a confrontarsi con autori sia della tradizione che contemporanei.
Tra i tanti, pregevoli impegni teatrali, ricordiamo poi “Penziere Mieje”, del 1996 – parole di Eduardo in forma di concerto.
Uno spettacolo del tutto particolare, che nasce intorno ad alcune poesie di Eduardo e si costruisce a tasselli: tra pensieri sparsi, momenti di Teatro, appunti in versi e in prosa che nascono senza una vera destinazione teatrale, ma che vanno pian piano a comporre un ritratto della precisa personalità eduardiana.
Ritratto che Luca tiene a far emergere.
Per questo, si affida alla sublime arte di un raro Maestro come Antonio Sinagra. Il quale – già anni prima, come ispirato – decide di musicare alcune poesie di Eduardo, per suo piacere e senza pensare a un uso preciso. Il Maestro Sinagra era già vicino al mondo poetico di Eduardo, avendo collaborato con lui negli ultimi anni della sua vita.
Sua peculiarità è un linguaggio musicale altissimo e privo di retorica.
Così, grazie al tocco magico del Maestro, il risultato è un vero gioiello.
Gioiello, impreziosito poi dalla sempre necessaria collaborazione di Bruno Garofalo.
In scena, interpreti e musicisti di tutto rispetto:
insieme ad Angela Pagano, le voci di Mario Castiglia, Lalla Esposito e Lello Giulivo, con l’accompagnamento musicale di Marco Zurzolo, Sandro Tumolillo, Ciro Cascino, Sergio Esposito, Rosario Jermano, Aldo Perris.
A legare il tutto… il tocco di classe ed eleganza di Luca De Filippo.
Dal 2008 Luca è presidente della Fondazione Eduardo De Filippo.
Fondazione che si costituisce in virtù dell’acquisto e della restituzione del Teatro San Ferdinando di Napoli alla città, da parte di Eduardo.
Con lo scopo di un Teatro del popolo e per il popolo, per tutti…
La Fondazione, ancora oggi attiva, nasce per volontà dello stesso Luca – insieme al Comune di Napoli e in seguito anche della Regione Campania – di favorire il recupero del Teatro della tradizione napoletana e lo sviluppo del Teatro contemporaneo. (Oggi, la presidenza della Fondazione è di uno dei suoi tre figli – Tommaso De Filippo.)
Luca continuerà – attraverso l’intento primordiale della Fondazione – l’opera del padre, in ambito civile e sociale, a favore dei ragazzi a rischio. Cercando di guardare al futuro di quei giovani senza un’infanzia serena.
Sarà infatti accanto ai ragazzi dell’Istituto minorile di Nisida. Portando all’attenzione delle autorità, la necessità di creare un indotto: un “canale di partecipazione” – con il Teatro, l’arte e la musica come “strumenti di recupero” per alcune realtà sociali.
Una profonda sensibilità, che si sposa con una fiducia realistica – e priva di sentimentalismi – nelle concrete possibilità del Teatro, inteso come funzione sociale:
«Il Teatro sopravvivrà alla freddezza dei nuovi mezzi di comunicazione…
Finché ci sarà un solo uomo che ha voglia di “giocare”, il Teatro ci sarà.»
(In un’intervista del 2 novembre 2000.)
Nel 2015 accetta l’incarico di dirigere la prima Scuola di recitazione del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale.
Nonostante la sofferenza per l’aggravamento delle sue condizioni di salute, sceglie di dedicarsi al suo compito e ai suoi ragazzi, fino all’ultimo momento. Senza ostentazione e senza rendere noto il suo stato, ma sempre con profonda dignità.
Dividendosi con grande spirito di abnegazione, tra l’avvio di un complesso triennio accademico e l’impegno con la sua Compagnia per la tournée in corso.
Infatti, Luca affida il suo ruolo nella commedia “Non ti pago!” all’amico e attore Gianfelice Imparato, con la volontà di non far fermare lo spettacolo. D’altronde, come lui stesso riuscì a fare nell’84, quando gli giunse la notizia della morte del padre e decise comunque di andare in scena.
Un grande senso di responsabilità e di rispetto fino alla fine, nei confronti di colleghi e pubblico che onorava.
Affinché tutto potesse poi andare avanti, anche senza la sua presenza…
Lo stesso Luca dice:
«Noi andiamo avanti sempre. In Teatro c’è un motto: la morte chiama vita, perché sennò vincerebbe due volte».
La sua ultima partecipazione cinematografica è ne “La stoffa dei sogni”.
Il film è un omaggio del regista Gianfranco Cabiddu a “La Tempesta” di Shakespeare.
Tuttavia, si può notare una poetica connessione. O una curiosa coincidenza.
“La Tempesta” segna l’addio alle scene di William Shakespeare: infatti, come il personaggio di Prospero – principe e mago – abbandona i suoi poteri magici, così il drammaturgo lascia la sua penna.
Allo stesso modo, l’opera di mirabile traduzione in un napoletano del ‘600, che il genio di Eduardo compie, diviene preludio della sua stessa fine, di lì a poco.
Anche Luca si congeda così, come per un antico sortilegio…
Ma forse il fascino di ogni mito o personalità illustre sta anche in quell’aura di mistero e in una sorta di magia, che sembra spargere intorno a sé.
«Noi stiamo vivendo in questo momento una grande crisi teatrale, ma mondiale e non solo italiana.
(…)Penso che il Teatro debba recuperare uno spazio poetico e sociale molto più profondo di quello che sta avvenendo.
Cioè deve essere un punto di riferimento preciso per la cultura e la coscienza di un popolo, per quanto mi riguarda.(…)Anche nella comicità ci può essere questo desiderio di essere utili alla propria società.
Desiderio di mettersi in discussione e di mettere in discussione le persone alle quali proponi il tuo lavoro…
Questo, secondo me, è importante da tener presente per il futuro del Teatro.»
Le parole di Luca sono sempre pregne di un suo grande senso di responsabilità e rigore.
Mostrano ogni volta un’attenzione, non solo per le sorti del Teatro, ma in generale per il futuro…
perché, ricchi della lezione di un passato, bisogna sempre guardare avanti.
Ma oggi c’è nostalgia di esempi tanto irripetibili, di dignità, di signorilità e di generosità, di lavoro incessante e appassionato…
esempi di un Alto e Nobile Artigianato.
Oggi c’è sicuramente nostalgia di quegli occhi malinconici e teneri, di uno sguardo attento e sincero sul presente e sul futuro.
Allora ci vengono in soccorso, alcune parole di Cechov, dai suoi Quaderni:
“Nell’uomo muore solo tutto ciò che è legato ai nostri cinque sensi:
quel che sta oltre, è enorme, inimmaginabile, sublime… e sopravvive.”
Sono trascorsi cinque anni e “la nottata” non è ancora passata…