La storia di Lea Garofalo, la testimone di giustizia che si ribellò alla ‘ndrangheta per salvare sua figlia Denise. Fu uccisa e data alle fiamme

23 Novembre 2021 - 20:58

La storia di Lea Garofalo, la testimone di giustizia che si ribellò alla ‘ndrangheta per salvare sua figlia Denise. Fu uccisa e data alle fiamme

Domani per le vie di Milano ,
si ricorderà Lea Garofalo.

La testimone di giustizia calabrese,
che aveva raccontato agli inquirenti, fatti di ‘ndrangheta riconducibili
alla sua famiglia.

Venne uccisa a Milano il 24 novembre del 2009 dal suo ex compagno.

All’avvocato Enza Rando, il legale dell’associazione Libera, Lea aveva detto: “Di me si parlerà quando non ci sarò più”.

E così è stato: da allora la sua storia, ha aperto coscienze ,e ha dato forza
ad altre donne per staccarsi da contesti criminali ,e cercare la libertà.

Stasera in tv la sua storia sarà raccontata nel film a lei dedicato “Lea”, di Marco Tullio Giordana.

Lea Garofalo, fu una delle prime donne, a ribellarsi alla sua famiglia di ‘ndrangheta.

Fu una delle prime a sognare un futuro migliore per sua figlia: così nel 2002, decide,di parlare con la magistratura, raccontare quello che sa.

In cambio lo Stato la inserisce insieme alla figlia Denise, avuta con l’ex compagno Carlo Cosco, nel programma di protezione.

Davanti ai magistrati racconta tutto: l’attività di spaccio condotta dalla famiglia Cosco, e la faida interna,
tra questa e la sua famiglia che aveva portato alla morte del fratello, Floriano Garofalo nel 2005.

Quella vita Lea non la vuole più:
così scappa dal suo paese natale, Petilia Policastro, in provincia di Crotone, e si nasconde a Campobasso.

Qui ritornano a vivere, lontano da tutti: fino all’aprile del 2009 quando Lea decide di uscire dal programma di protezione.

A Campobasso Lea Garofalo, riesce a sfuggire a un primo agguato,
grazie alla figlia ,che,quel giorno non era andata a scuola ed era anche lei in casa.

Passano pochi giorni e si affida all’avvocato di Libera Enza Rando: “Quando la incontrai aveva già subito il tentato omicidio a Campobasso.

Lei aveva denunciato, era spaventata e sapeva che a organizzare l’agguato era stato l’ex compagno.

Lo aveva capito, mentre tutti gli altri ancora no.
Lo confermeranno poi le indagini più avanti”, ha raccontato l’avvocato.

Le cose purtroppo il 24 novembre del 2009 , a Milano andarono diversamente rispetto a Campobasso: nel capoluogo lombardo ,Lea incontra Carlo Cosco,
che ha avvicinato la ex con la scusa di dover parlare del futuro della figlia. 

Le telecamere comunali la ripresero per l’ultima volta camminare con la figlia per le vie della città, poi il silenzio.

Quello che resta del corpo di Lea è stato trovato nel quartiere San Fruttuoso a Monza: qui è stato dato alle fiamme per tre giorni.

Leggeva molto. Era sempre molto lucida nei suoi ragionamenti.
Più di ogni altra cosa amava sua figlia.

Il suo unico pensiero, era quello che la figlia studiasse perché sapeva che solo la scuola ti può far alzare la testa e dire di no.

Mi ripeteva spesso, ‘fatela studiare’. E così Denise ha fatto”.

Poco dopo l’omicidio inizia il processo: Denise testimonia contro il padre e la sua famiglia.

In aula non è sola: tanti ragazzi di Italia non mancano a una sola udienza. Lì in Tribunale sono pronta a supportarla:

“Per assistere al processo arrivavano pullman di studenti da altre regioni”, ricorda Enza Rando. Che poi conclude: “Solo dopo la sentenza di condanna Denise si è avvicinata e ha detto:
‘Ora possiamo fare il funerale.
Voglio che venga fatto a Milano'”.

Il 19 ottobre del 2013, piazza Beccaria a Milano era affollatissima.

I funerali sono stati organizzati con il supporto dell’allora sindaco di Milano Giuliano Pisapia e con l’associazione Libera.

Il palco per la cerimonia è allestito con corone di fiori e bandiere con la scritta “vedo, sento, parlo”.

Ai presenti sono stati distribuiti mazzi di fiori e un segnalibro con una foto di Lea Garofalo e la frase “In ricordo di Lea, la mia giovane mamma uccisa per il suo coraggio” a firma di Denise, la figlia di Lea.

A invitare tutti in piazza è stata Denise perché “la mia cara mamma,
ha avuto il coraggio di ribellarsi alla cultura della mafia, la forza di non piegarsi alla rassegnazione e all’indifferenza.

Il suo funerale pubblico è un segno di vicinanza non solo a lei, ma a tutte le donne e gli uomini che hanno rischiato e continuano a mettersi in gioco per i propri valori, per la propria dignità e per la giustizia di tutti”.

Altre donne vedendo quelle immagini hanno deciso di ribellarsi alla ‘ndrangheta.

Tutti ora la ricordano, perché come diceva lei: “Di me si parlerà quando non ci sarò più”.