Intervista a Stefano Cassetti, attore dal respiro internazionale

29 Marzo 2022 - 14:00

Intervista a Stefano Cassetti, attore dal respiro internazionale

Sono tanti i progetti internazionali che avranno come protagonista Stefano Cassetti, attore
bresciano conosciuto dal grande pubblico italiano anche per il ruolo del cattivissimo Bruno
Moser in Un passo dal cielo, la fiction Rai con Daniele Liotti. Tuttavia, nei prossimi mesi,
Cassetti sarà in video, su Rai3, con la serie francese Germinal, non tralasciando alcuni
impegni cinematografici, proprio come ci ha svelato.

Ciao Stefano, presto andrà in onda su Rai3 la serie Germinal, che ti vede tra i
protagonisti. Di che cosa parla?
“E’ innanzitutto una serie tratta dal romanzo omonimo di Emile Zola ed è ambientata intorno
alla fine del 1800. Parla dell’inizio della creazione del sindacato, con le lotte che ne sono
conseguite. Da una parte ci saranno infatti i padroni delle cave di carbone, dall’altra gli
operai sfruttati fino a delle condizioni che rasentavano la fame. Una narrazione che avverrà
sia dal punto di vista politico, ma anche da quello di una famiglia che vivrà la morte di un
bambino a causa delle circostanze estremamente dure. Il protagonista del racconto sarà un
giovane minatore che prenderà su di sé le redini della protesta”.

Il tuo ruolo invece quale sarà?
“Il cast della serie è molto ampio. Nel romanzo c’è questa figura cruciale per lo snodo
drammaturgico della trama, Souvarine, che interpreto. È una persona molto acculturata (nel
romanzo, di origini russe) quasi ossessionato dai libri sulle rivendicazioni operaie che
vengono dalla Russia e comunque sempre molto informato leggendo i quotidiani del tempo.
È un nichilista; non ha nessun tipo di speranza nelle lotte sindacali e vaneggia di distruggere
tutto. Tuttavia, è un uomo che resta sempre al margine. Si vedrà poco, a sprazzi: sarà
defilato in tutti i momenti forti della serie ma presente, perché sempre in osservazione di
quello che accade. Ma alla fine sarà lui a far basilare le sorti di tutti con un gesto estremo. È
sicuramente il perno della svolta finale del film.”.

Un italiano che interpreta un russo. Come mai questa scelta?
“È dettata dal fatto che il regista non voleva scegliere un attore in base all’accento russo.
Cercava più che altro un interprete con la faccia e i gesti giusti. Doveva dare sicuramente
l’impressione di essere straniero, di venire da lontano ma non necessariamente dalla
Russia. Tant’è che, nella versione francese della serie, il mio vero accento non è
propriamente italiano, ma più vagamente appartenente all’est, indefinibile. E ci ho lavorato a
lungo su questo aspetto”.

Oltre a te, ci sarà un’altra attrice italiana: Valeria Cavalli. Vi siete mai incrociati sul
set? Avete avuto delle scene in comune?
“No, purtroppo non l’ho incrociata, se non in qualche scena corale. Non ho potuto lavorare
sul set con lei, con dei veri e propri dialoghi”.

Quanto sono durate le riprese del film?
“Siamo stati sul set per circa cinque mesi, nel periodo del secondo lockdown invernale. È
stata dura perché lavoravamo sempre su set pieni di fango, pioggia e freddo vero. Tra l’altro,
quando si finiva di girare, dovevamo tornare in hotel per mangiare da soli per via del Covid.
Chi conosce il nostro mestiere sa, invece, che è importante socializzare perché il set diventa
la tua casa per mesi. Ed è importante trovarsi tra attori, tra tecnici e membri dell’equipe
perché quella diventa la tua famiglia. Una socializzazione che è completamente mancata
per via della pandemia”.

Sei anche nel cast di Into The Night, fortunata serie belga in onda su Netflix.

“Sì, è una serie che parla di un’ipotetica catastrofe solare ambientata nel futuro. Anche in
questo caso, è liberamente ispirata al libro The Old Axolotl di Jacek Dukaj, uno scrittore
polacco. Il nostro showrunner è partito dalla storia per crearne una sua. Il mio personaggio,
che si chiama Terenzio Matteo Gallo, apre e chiude le danze con delle scene molto forti. Nel
mezzo, ovviamente, ci sono altri personaggi, in tutto quattro sono i principali. Mi sono molto
divertito: è un film all’americana con un ritmo molto elevato, fatto però con le maestranze
belghe e romene. Abbiamo, infatti, girato quattro mesi a Sofia e dintorni”.

È un lavoro che ti ha dato senz’altro molta visibilità, no?
“Certamente. Sono molto legato a questo lavoro. È in onda, come hai detto, su Netflix, in
quanto prima serie belga prodotta dalla piattaforma americana, ed é una serie originale
Netflix quindi prodotta direttamente. È incredibile quante persone puoi raggiungere in ogni
parte del mondo tramite mamma Netflix”.

Sei laureato in disegno industriale. Come sei arrivato alla recitazione?
“È stato completamente un caso. Ho fatto il mio primo provino quasi scherzando, dato che
non avevo mai sognato, né immaginato, di fare l’attore. Anche durante il mio primo film, non
avevo ben chiaro quello che mi stava succedendo. Pensavo fosse una parentesi di qualche
mese. E invece, da allora, è diventato il mio lavoro. Tutto è partito quando sono entrato in un
ristorante in Francia con un accento pesantemente italiano, perché allora non parlavo bene
francese, ed in quel momento in un altro tavolo c’era una persona che era al corrente del
fatto che, per un film, stavano cercando un italiano che parlasse male francese. E quindi mi
ha messo in mano il numero di telefono per chiamare la persona addetta ai casting: quando
le cose devono accadere.”.

E immagino che tu quel numero di telefono l’abbia fatto…
“Sì, ero in vacanza a Parigi, con tante cose da fare, e ho telefonato dopo qualche giorno. E
da lì, i miei vent’anni successivi, sono stati segnati da questo episodio. Inizialmente, non
avevo capito quello che mi stava succedendo; è stato tutto molto ingenuo per me nei primi
film, sono stati un po’ una sofferenza perché non comprendevo la macchina che mi stava
attorno. Dopo cinque/sei anni ho iniziato a vivere le riprese sul set senza stress perché
avevo imparato da quello che mi succedeva intorno. E adesso mi diverto molto, conscio del
fatto che iniziare è stato una fortuna”.

Lavori tanto all’estero. Scelta voluta o un caso del destino?
“Diciamo che è stato un mix di cose. Mi definisco una persona curiosa: mi piace scoprire
cose e lingue nuove. Una delle mie passioni principali sono i viaggi; ho abitato spesso
all’estero. Prima a Parigi, ora tra la stessa Parigi e Berlino. Avere un attore italiano sul posto
per le produzioni straniere è quindi molto più facile. Si crea un rapporto di fiducia. È chiaro
che poi le occasioni ho dovuto cercarle io per primo. Non è stato dunque solo un caso,
anche se non so bene poi come si è innescato davvero tutto quanto. Sicuramente ho
lavorato tanto all’estero, dove mi hanno notato maggiormente rispetto all’Italia. È quindi
normale che le proposte arrivino dove sei più visibile. Nel territorio italiano, inoltre, il mondo
del cinema e della televisione è molto legato all’accento centro-meridionale, anche per
ragioni di drammaturgia. Ci sono molte storie sul sud, sulla mafia e sulla camorra. L’accento
romano è ovunque, mentre il mio settentrionale credo sia meno impiegabile. Forse perché è
meno orecchiabile? Probabilmente è anche per questo che non ho ricevuto grandi proposte.
Purtroppo, l’Italia è romano-centrica. Gli accenti sono tutti belli e il nostro Paese ne è pieno.
Bisognerebbe passare oltre”.

Hai preso parte a tanti film. Quali ruoli ti sono rimasti maggiormente nel cuore e
hanno influenzato maggiormente la tua carriera?

“Roberto Succo è stato quello che mi ha lanciato e sicuramente sono molto affezionato.
Tuttavia, il ruolo che mi ha spaventato di più è quello del Diavolo in Rosemary’s Baby, una
serie americana con Zoe Saldana del 2013. Ho poi nel cuore il personaggio che ho
interpretato nel film francese, diretto da Estelle Larrivaz, Le Paradis des Betes. È un film che
ha fatto la sua storia e l’ho sentito particolarmente perché la regista ci ha messo molto cuore
e tutta la sua infanzia. Interpretavo suo padre, un uomo molto violento che ha rapito i figli
piccoli e li ha portati all’estero. Un racconto molto crudo e triste”.

Ci sono poi le serie italiane Non Uccidere e Un passo dal cielo…
“In Un passo dal cielo interpretavo il cattivone Bruno Moser di turno che appariva in tutte le
puntate (ma si capiva solo alla fine che era cattivo). Mi sono trovato molto bene. Era la mia
seconda volta in una serie Rai ma la prima con un ruolo ricorrente dall’inizio alla fine. Ho un
piacevolissimo ricordo: una troupe fantastica e molto giovane dalla quale ho imparato un
sacco di cose. La prima serie Rai a cui ho partecipato invece é Non Uccidere in un ruolo più
complesso”.

Attualmente, a quali progetti ti stai dedicando?
“Sono previste le riprese di due film francesi, che gireremo uno vicino al confine con la
Spagna sulla costa atlantica e uno a Marsiglia. Inoltre, sto scrivendo la prima sceneggiatura
della mia vita, in parte autobiografica. È un film con una base sociologica importante, ma
trattato come se fosse Il Fantastico Mondo di Amelie. Diventerà una sorta di fiaba divertente.
Ci sto lavorando da parecchi anni, spero di arrivare alla fine. Poi uscirà presto il film
Connemara di Isild Le Besco, la mia partner in Roberto Succo (2001) che da qualche anno
ha deciso di tuffarsi nella regia. Insieme a me, nel cast ci saranno anche Eli Semoun, Marisa
Berenson, Laëtitia Eïdo ed Élodie Bouchez. E infine uscirà dopo l’estate anche una
divertentissima e poetica commedia italiana, La Lunga Corsa”, un film di Andrea Magnani
(Easy) dove impersono un padre disperato con un look veramente sorprendente. Abbiamo
interamente girato proprio a Kiev gli ultimi mesi del 2021 ed ogni volta che penso a questo
film penso con grande apprensione a tutte le persone ucraine che ho conosciuto sul set e
fuori “

Credit Photo Mauro Angelantoni

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