Applausi per Ibra. O forse solo fischi, se il sipario si chiude prima. Nella fattispecie, il sipario è quello del Festival di Sanremo, ammesso che si faccia. Dove Ibrahimovic dovrebbe essere ospite per tutte e 5 le serate, come se fosse una rockstar.
Il condizionale legato alla sua presenza, però, sorge dopo la zuffa da cortile di “ora d’aria” inscenata nella notte di martedì scorso tra Zlatan e Lukaku durante il derby di San Siro.
Sono volati stracci e strali di connotati segnatamente razzisti da parte dello svedese. Che, secondo le voci di dentro, ha messo a bersaglio 4-5 epiteti “coloriti” in riferimento alla pelle nera del fiero e incazzatissimo rivale.
Compreso uno stravagante e creativo: “tornatene in Africa a fare i riti voodoo”. La serata è poi finita con l’espulsione di Ibra, non per la rissa, ma per un fallaccio successivo di gioco.
Insomma non esattamente una vetrina edificante per il pubblico nazional popolare e di respiro “familiare” al quale ambisce Sanremo. E così si è levata la voce di protesta per la presenza di Zlatan a Sanremo.
Oltretutto per una cifra non indifferente. Amadeus e Fiorello, due interisti doc, potrebbero saltare l’altro derby, quello da palcoscenico, con Zlatan.
Vedremo come procederanno le consultazioni in viale Mazzini, anche se la storia suggerirebbe un epilogo tutto all’italiana. Ovvero tarallucci e Ibra. Di sicuro non abbiamo scoperto l’altro giorno che Ibrahimovic non sia precisamente un punto di riferimento educativo o pedagogico.
E di questo non se ne avrà certo a male, per sua stessa ostentata e fiera ammissione. Zlatan è una specie di personaggio uno e trino. Che racconta di sé in terza persona ed è in prima fila dinanzi al proprio altare, assiduo e fervente fedele del culto di se stesso.
Ha scritto due biografie in cui la parola “IO” non è tautologia, ma un rafforzativo emblematico del proprio ego ipertofrico. “Io Ibra”, titolo del primo libro del 2011, seguito da “Io sono il calcio”, del 2018.
In cui dalla biografia si passa direttamente alla auto agiografia. In tutti e due testi si parla dell’infanzia difficile, dei suoi furti per sopravvivere, del suo carattere forte che lo avrebbe salvato dalla legge della strada.
Passando addirittura attraverso l’esortazione ai giovani di farsi rispettare menando botte da fight club per costruirsi rispetto e reputazione. Il tutto con l’adeguata vanità di chi traduce in virtù le gesta di una vita spericolata.
Ma non pensiate che si sia pentito, o che alla luce del suo straordinario percorso di campione calcistico possa fare un accomodante passo indietro. No, anche oggi a 40 anni risponderebbe sempre allo stesso modo: “Io sono Zlatan”.
Prendere o lasciare. Ibra è Ibra. E in fondo è giusto che vada al Festival. Perché Sanremo è Sanremo. Comunque vada sarà un successo…
Bruno Marra