I 50 anni di Guardiola, il calcio e tanto altro

22 Gennaio 2021 - 9:00

I 50 anni di Guardiola, il calcio e tanto altro

Si nasce o si diventa grandi tecnici di calcio? E’ la domanda che spesso mi pongo. E che ha una risposta che sta a metà del guado. Che ha un’unica certezza: non è sempre valida l’equazione grande giocatore uguale grande tecnico.

Credo che le doti più importanti siano l’intelligenza – non soltanto calcistica -, la curiosità, la continua voglia di imparare. Tre capisaldi che, insieme con una buona cultura che non guasta mai, appartengono a Pep Guardiola.

Che ha compiuto 50 anni pochi giorni fa. Già quando giocava, allenava la mente. Contrastava, impostava, ogni tanto un gol ma soprattutto le continue domande a Cruijff che lo promosse da canterano del Barça in prima squadra.

E profetizzò: Pep è un grande giocatore e diventerà un grandissimo allenatore. Appese le scarpette al chiodo, ha fissato nello spogliatoio di ogni squadra che ha allenato il suo motto.

Primo, bisogna sapere che cosa fare; secondo, bisogna sapere come fare. Un manifesto che si stamparono bene in mente Xavi, Iniesta, Pujol, Busquets e pure Messi.

Fu così possibile rendere grandissimo il Barcellona con il tiki taka. Capitava a volte di dire: sì bello ma che noia. Senza sapere che quei grandi campioni e tutti gli altri non facevano che pensare che cosa fare e come fare.

Il suo Barça ha fatto rivivere il possesso palla ed il pressing alto del grande Ajax e dell’Olanda dell’immenso Cruijff, il suo maestro. Poi, ci ha messo del suo. Sempre studiando ed innovando. Oggi pratica un calcio più verticale.

Con una costante: la ricerca di giocatori tecnici, che sappiano dribblare. Vedesse una partita del calcio italiano di oggi inorridirebbe: vado non vado, meglio darla indietro. Il compitino. Per timore e per deficienze tecniche.

Pep legge molto. Ogni frase che lo colpisce l’annota sulle pareti del suo ufficio. Poi, le più significative le trasferisce sulla lavagna dello spogliatoio che ha forma ovale. In modo che tutti si sentano partecipi.

E possano discutere, chiedere, imparare. Da fine psicologo ha scritto a caratteri cubitali quella preferita dal loco Bielsa: la vittoria rilassa, la sconfitta accende. Entrambe aiutano a crescere.

Che cosa fare e come fare. La strategia e la tattica degli scacchi. Durante la sua breve parentesi newyorkese Pep conobbe, diventandone amico, Garry Kasparov tra i più grandi scacchisti di sempre che nel frattempo aveva abbandonato le gare.

Nel primo decennio del Duemila era spuntato l’astro di Magnus Carlson, allievo di Kasparov. Una sera a cena, Guardiola gli chiese chi fosse il migliore tra lui e l’allievo.

La risposta lo lasciò di stucco: sono ancora molto più bravo di lui ma non avrei alcuna chance di batterlo. Sono troppo vecchio, il ragazzo ha un’energìa che io non possiedo più.

Pep rimugina spesso quella frase. Quella parola: energìa. Aveva deciso di lasciare il City quest’anno. E fors’anche la panchina. Cinquant’anni, troppi anche per me. Poi ha deciso di continuare.

Deve perfezionare un’altra sua idea: tre uomini fissi, il portiere e i due centrali e tutti gli altri con ruoli multipli: difensori aggiunti, centrocampisti attaccanti. Pep il visionario? Intanto, ci sta provando. Per entrare ancora una volta nella storia. Da un’altra porta. Energia e creatività. Già, sembra facile.

Adolfo Mollichelli