Hedy Kryssane successi senza fine. L’Intervista all’attore di origini tunisine

26 Maggio 2022 - 11:34

Hedy Kryssane successi senza fine. L’Intervista all’attore di origini tunisine

Intervista a Hedy Krissane
E’ in onda ogni venerdì sera su Sky Atlantic con la serie Blocco 181, ma è reduce anche dal successo, in
Tunisia, della pluripremiata Harga. Parliamo dell’attore tunisino Hedy Krissane, volto noto della fiction e del
cinema italiano. Tanti progetti lo attendono nelle prossime settimane, proprio come ci ha svelato nel corso
di questa intervista.
Ciao Hedy, attualmente ti stiamo vedendo in onda nella serie Blocco 181, ideata dal rapper Salmo. Che
esperienza è stata?
“Sì, come avete già avuto modo di vedere nei primi episodi, interpreto Akim, che è il proprietario di una
pizzeria al centro del traffico di stupefacenti della Milano che raccontiamo. Trovo che Blocco 181 sia una
serie molto carina, fatta tra l’altro molto bene. Ha un ottimo cast, composto da ragazzi molto giovani e volti
interessanti. E’ stato bello girare con i registi Giuseppe Capotondi e Ciro Visco. Sono molto diversi tra di
loro, ma si sono identificati bene nel progetto. E’ stata un’esperienza milanese davvero bella, che è durata
un po’ di mesi”.
E con Salmo che tipo di rapporto hai instaurato?
“Mi sono trovato molto bene. Salmo è carinissimo, bravissimo e davvero molto umile. Non ha mai fatto
pesare il suo ruolo di ideatore della serie. Anche se abbiamo girato nel periodo di piena pandemia, siamo
sempre stati tutti insieme, in maniera amichevole. Salmo è uno che ti mette a tuo agio, ti rispetta. Sa di non
essere un attore, motivo per cui è entrato nel lavoro in punta di piedi, con grande rispetto per i
professionisti che lo circondavano ed hanno lavorato insieme a lui. La cosa che più mi ha colpito, ripeto, è la
sua umiltà. E ti confesso che, prima, non lo conoscevo. Me lo ha fatto scoprire mia figlia, che lo ascoltava. Il
ruolo di Salmo è molto interessante e fatto benissimo”.
Quali sono i temi principali che affronta la serie?
“Parla dello smercio di stupefacenti nel Blocco 181, un quartiere di Milano multietnico. In questa prima
stagione, a fare da padroni saranno i sudamericani. L’idea era di mettere le varie etnie per raccontare la
periferia milanese. Anche se la serie entra nel cuore di Milano, perché usa la parte ricca della città per gli
affari di quartiere. Trovo che questo gioco tra le classi sia molto interessante. Blocco 181 parla della ricerca
di potere, del possesso degli stupefacenti, che consente di smuovere un po’ di denaro. E’ molto carina
perché mette insieme la multietnicità della città moderna italiana”.
Sei inoltre nel cast di Harga, una serie tunisina che sta avendo un grande successo…
“Sì, faccio parte della seconda stagione di Harga, che è andata in onda nel secondo mese di Ramadan. E’
stata vista da un grandissimo numero di telespettatori in Tunisia e, ad oggi, è già stata premiata con dieci
premi diversi, compreso quello di miglior serie di tutti i tempi. Non a caso, è richiesta da molte televisioni
estere. Parla di immigrazione, di clandestinità ed è molto interessante. La Rai ha seguito le riprese, dato che
è girata tra Palermo e Tunisi. E’ composta da 20 puntate, che analizzano cosa comporta il viaggiare
clandestinamente. Cosa che qua, in Tunisia, purtroppo è un costume molto noto. Tutti i ragazzi sognano di
immigrare e, non avendo il visto, prendono il barcone e partono. Questa è una piaga della società tunisina,
ma anche un problema per la società italiana, che deve fare spesso i conti sia con gli arrivi clandestini, sia
con chi non ce la fa ad arrivare, con le madri che di conseguenza cercano i figli dispersi”.
So che questa non è però l’unica tematica toccata da Harga…
“Esatto. Parla anche dell’arrivo del clandestino, ossia non più del viaggio ma della permanenza in una città
nuova, considerata dalla Tunisia il paradiso terrestre, quando invece ciò che succede dopo è altrettanto
difficile. La serie è ambientata a Palermo, ma rappresenta un po’ l’Italia e tutta l’Europa. Dà modo di vedere
che la vita non è così facile perché anche l’Italia e l’Europa hanno i loro problemi. In primis perché la

pandemia ha fatto perdere un sacco di lavoro ed ha aumentato una crisi esistente già da qualche anno.
Harga fa vedere dunque che non è vero che un clandestino trova subito lavoro. Sono cambiati i tempi, non
c’è più l’immigrazione di una volta. Anche se qui, in Tunisia, c’è ancora il mito di partire e trovare subito
impiego, ricchezza e denaro”.
E sul set come ti sei trovato?
“Harga 2 è stata girata molto bene; è stata diretta da Lassaad Oueslati e trasmessa dalla tv tunisina
Nazionale 1, per poi arrivare su una piattaforma dove ha già raggiunto 10 milioni di telespettatori. Davvero
numeri record, se si considera che la Tunisia ha 12 milioni di telespettatori, compresi i neonati. Significa che
è stata vista anche dai tunisini all’estero. Ricevo, infatti, un sacco di complimenti che mi arrivano da tutto il
mondo; non solo da commentatori tunisini o dai miei amici italiani, ma anche da algerini e di altre
nazionalità: dall’America al Messico”.
E tu che personaggio interpreti?
“Fortunatamente, il mio è un personaggio che piace molto. Vive in Italia e traffica un po’ con i clandestini,
che sfrutta in qualche modo. Anche se in questa stagione, lo sfruttatore senza scrupoli incontra un ragazzo
che prende sotto la sua ala. E’ vero che all’inizio lo sfrutta un pochino, ma poi diventa quasi un fratello
maggiore per lui. Lo sostiene, lo aiuta e lo fa entrare nel giro del traffico di stupefacenti, anche se gli
insegna a vivere. Gli dà il male come arma per poter sopravvivere. Tuttavia, col trascorrere degli episodi,
questo ragazzo viene incastrato in varie cose, al punto tale da essere considerato un terrorista. Viene visto
vicino ad un luogo in cui c’è stato un attentato e questo cambia gli eventi. Harga è molto bella, con un cast
di stelle, fatta da molti colleghi che vivono in Italia, ma anche da attori che risiedono in Tunisia e con i quali
sono cresciuto. E’ stata dunque un grande onore condividere il set con loro”.
Parliamo un po’ del tuo percorso d’attore. Come ti sei avvicinato al mestiere? E’ un sogno che avevi sin
da bambino o qualcosa ti ha fatto nascere questo amore?
“Ho iniziato da bambino a fare teatro, perché nel mio paese d’origine, Tataouine, non c’era altro, dato che
si trovava in mezzo al deserto. Direi quindi che la passione è nata da piccolo e l’ho portata avanti. Dopo
qualche anno di lavoro nei villaggi turistici, ho imparato l’italiano ed ho preferito venire in Italia per seguire
la mia passione per il cinema. Ho scoperto così il cinema italiano degli anni d’oro e l’ho amato subito,
ovviamente. E sono arrivato qui per questo. Mi definisco un immigrato diverso: ai tempi di mio padre, si
immigrava per lavorare magari in ferrovia, mentre io sono andato proprio alla ricerca dell’arte. Sono
arrivato negli anni ’90, quando purtroppo il cinema era in crisi, ma pian piano ho fatto dei casting ed ho
ottenuto qualche lavoro. Il primo con Rashid Benhaj per una serie Rai che ha avuto un grandissimo
successo, fino ad arrivare ad Aldo, Giovanni e Giacomo e Christian De Sica. Il tutto mentre studiavo per
acquisire sempre più capacità e conoscenza del mestiere. Ad oggi ho girato una trentina di film; sono
andato avanti”.
Hai altri progetti futuri dei quali puoi parlarci?
“Certo, c’è la seconda stagione della serie tedesca Barbari, prodotta Netflix. Alla regia c’è il Premio Oscar
Stefan Ruzowitzky ed è ambientata nell’epoca germano-romanica, nel periodo delle guerre tra la Germania
e Roma. Trovo che sia molto bella; lì ho fatto il ruolo del capitano dell’esercito romano, di nazionalità nord-
africana. Perché, un tempo, eravamo tutti romani. Ho girato delle scene in Polonia; è stata un’esperienza
interessante, visto che è stato il mio primo lavoro di rilievo sulla piattaforma. La prima stagione è stata
seguita in tutto il mondo ed ha raggiunto 190 milioni di persone. Si tratta di un progetto internazionale
dove sono coinvolte Germania, Italia e Polonia con attori di grande peso”.
E non manca nemmeno il film Peripheric Love…

“Sì, Peripheric Love deve ancora uscire; è un film svizzero diretto da Luc Walpoth. Trovo che sia un lavoro
davvero molto carino. Inoltre, è uscito anche Il Legionario, che mi vede nel cast, ed ha visto alla regia Hleb
Papou, che ha vinto un premio a Locarno. E’ un film molto carino e multietnico, girato a Roma durante la
pandemia. La sceneggiatura è bellissima e come lavoro è stato interessante. Fa parte di quei film che
considero della nuova generazione. Sono quindi felice del fatto che un lavoro girato da un regista di origine
ucraina, che ha studiato in Italia, sia simbolo del nuovo cinema italiano che avanza. Sostengo dunque in
tutto e per tutto questo genere di produzioni e sono felice che Hleb, con le sue idee innovative, mi abbia
scelto. La storia è bellissima, con gli attori Germano Gentile, Maurizio Bousso e Ilir Jacellari che sono
bravissimi. Colleghi che, come me, hanno avuto sempre dei ruoli secondari, ma stavolta ci siamo trovati
tutti insieme in un film corale. La Clemart, la società di produzione con Rai Cinema, ha portato avanti
questo film”.
Ci puoi anticipare qualcosa della trama?
“Certo. E’ incentrato sulla storia di questo cenerino, di un poliziotto ‘della cenere’ che lotta per avere un
suo posto, da nero, in mezzo alla polizia, certamente non abituata ad avere qualcuno di pelle scura a fianco.
Il protagonista, ovviamente, è un italiano di nuova generazione, che si trova a fare i conti con la realtà: sua
madre è infatti un’immigrata, che vive nelle case popolari. Quest’ultime devono essere sgomberate e per
lui è una grande sofferenza, visto che è nato lì. Porta avanti questo dilemma, con i due fratelli – interpretati
da Maurizio Bousso e Germano Gentile – che hanno due visioni contrapposte sullo sgombero di queste
case. L’identità è l’argomento centrale, come del resto in tutti i film di nuova generazione girati da
immigrati. Per quanto riguarda me, sono uno dei condomini del posto. E lotto, con tutti, per resistere allo
sgombro”.
Hai girato tanti film e serie tv. Quali ruoli ti sono rimasti di più nel cuore?
“Li ricordo tutti con piacere. Ad esempio, ho fatto un piccolo ruolo, non accreditato, in Tre Uomini e Una
Gamba ma il tutto è stato molto simpatico. Aldo, Giovanni e Giacomo sono di una grande umiltà. Un altro
set che rimpiango, perché non sempre se ne trova uno bello e divertente, è quello di Tre punto sei di Nicola
Rondolino, che è mancato qualche anno fa. Era un film noir con una troupe veramente fantastica; è stata
una grande famiglia e un bellissimo lavoro”.
Ti dedichi anche alla regia. Quando hai deciso di farlo?
“Ho fatto un film nel 2013 che si intitola Aspromonte – Tutta un’altra storia con Franco Neri, Andrea De
Rosa, Pier Maria Cecchini e Maria Pia Calzone, che poi è diventata molto famosa con Gomorra. Aspromonte
è stato girato in Calabria on the road per un mese e mezzo. L’intento principale era quello di mostrare la
terra in cui il film era ambientato, che è davvero molto bella, all’interno di una commedia simpatica e
scorrevole. E’ questo è stato il primo che ho diretto, anche se quello che ritengo davvero il mio lavoro
d’esordio deve ancora uscire. Siamo ancora in preproduzione; stiamo cercando una parte di fondi per
poterlo realizzare. Anche se, dal 2003 ad oggi, ho girato cinque cortometraggi, più o meno tutti premiati e
accolti in tutti i festival internazionali. Sono stato anche a Cannes. Lebess (non c'è male), Colpevole Fino a
Prova Contraria e Ali di Cera hanno vinto tutti e tre il Torino Film Festival, mentre con La Festa Più
Bellissima sono andato a Venezia nel 2018 nel progetto Migrarti promosso dal Ministero dei Beni Culturali”.
I corti hanno tutti un minimo comune denominatore, che è l’immigrazione…
“Sì, parlano di come è sempre stato il mio percorso. Parlano di immigrazione dal punto di vista
dell’immigrato, del nuovo arrivato. E’ proprio questo che voglio fare, ossia raccontare le storie da una
prospettiva che l’italiano nativo non conosce. Ritengo sia importante raccontare l’immigrazione attraverso
gli occhi degli immigrati stessi; c’è bisogno di una voce diversa perché certi temi li puoi conoscere bene, e di
conseguenza raccontare, solo se li vivi”.

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