Al solo vociferarsi di qualche giorno fa delle presunte dimissioni di Mario Draghi cominciavano già a prefigurarsi gli scenari possibili per tenere in vita in governo, o almeno tentare. Possibilità che oggi devono essere prese in considerazione con un forte senso di responsabilità: dopo aver provato a mediare, o meglio, a ricucire il patto, l’unica strada percorribile si è rivelata quella delle sue dimissioni, tra amarezza e scontento di chi aveva sostenuto un governo di “alto profilo” per contrastare le emergenze pandemiche, sociali, ed economiche.
Dopo aver accettato la dimissioni, il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha deciso che il governo resterà in carica fino alle nuove elezioni per il disbrigo degli affari correnti, senza però che il premier Draghi abbia capacità programmatica. Si concludono le attività già in corso e, al bisogno, si affrontano imprevisti. In caso di emergenza si possono emanare decreti legge.
A questa decisione fa seguito un ribaltamento del programma scandito dal governo Draghi, come il decreto di luglio che finisce svuotato. Sarà possibile recuperare gli aiuti sulle bollette ma non il taglio del cuneo fiscale né quello dell’Iva. Stop anche al Ddl concorrenza e alla riforma fiscale così come a quelle di giustizia e processi tributari. Ma soprattutto c’è l’incognita Pnrr. Per ricevere la rata da 19 miliardi di euro bisognava raggiungere altri 55 obiettivi entro fine anno. Ora il target è a rischio.
Le riforme a rischio
Prima di tutto con l’addio del governo Draghi è quindi a rischio il decreto “corposo” annunciato dal ministro dell’Economia Daniele Franco ai primi di luglio. Con l’aumento delle entrate l’esecutivo si trovava una dotazione di 23,4 miliardi di euro. Che avrebbe consentito di replicare l’intervento sul bonus 200 euro. E iniziare la riforma del cuneo fiscale che avrebbe portato 100-150 euro in più nelle tasche dei lavoratori che guadagnano di meno. Si ragionava anche sulla possibilità di ridurre l’Iva su alcuni beni di consumo per combattere l’inflazione. Il ministro Orlando stava anche lavorando all’introduzione dei trattamenti economici complessivi come base per il salario minimo. Il taglio delle accise, come gli aiuti sulla benzina, dovrebbe essere invece ulteriormente prorogato. Nessuna correzione potrà infine scattare per il reddito di cittadinanza.
Gas, Superbonus, pensioni
Il governo stava discutendo con i sindacati anche su una riforma delle pensioni. Si ricorda he dopo l’esaurimento di Quota 102 si lavorava all’introduzione di meccanismi di flessibilità in uscita. Prevedendo la possibilità di lasciare il lavoro a 62-63 anni ma prendendo quanto versato: l’anticipo per tutti resterà al palo. Niente revisione per il Superbonus 100%: le criticità sulla cessione dei crediti fiscali non saranno risolte. Lo scorso autunno il governo ha anche dato il via al disegno di legge delega per la revisione del fisco e poi con la legge di bilancio ha compiuto i primi passi in direzione della riforma avviando la revisione dell’Irpef e la riforma del sistema della riscossione. Gli obiettivi erano ridurre le aliquote Irpef a partire dai redditi medio-bassi, superare l’Irap e razionalizzare l’Iva.
Al palo rimarrà anche il piano energia. L’intenzione, ricorda il quotidiano, era quella di diversificare le fonti accelerando sulle rinnovabili ed adeguando le infrastrutture. Nel programma del governo c’era l’installazione dei due rigassificatori a Ravenna e Piombino, quest’ultimo da terminare entro la prossima primavera: «È una questione di sicurezza nazionale», ha ricordato ieri Draghi. Segnalano le proteste in Toscana contro la messa in funzione di una delle due navi rigassificatrici acquistate dalla Snam. A livello europeo la linea è di continuare a battersi per «un tetto al prezzo del gas russo e per la riforma del mercato elettrico».