Il non-voto del M5S
E da Palazzo Chigi trapela che Draghi sia più che disponibile a risentire il suo predecessore (mentre per ora non è in agenda un nuovo faccia a faccia). Il non-voto del Movimento, che pure non metterebbe a rischio la tenuta del governo, sarebbe comunque un segnale politico serio. Giustificato, certo, dalla prospettiva di Conte, dall’impossibilità di scindere a Palazzo Madama il voto di fiducia dal voto sul merito del decreto Aiuti, che ha dentro il contestato inceneritore di Roma, come permette invece il regolamento Montecitorio.
Non esiste un “bis”, formula che ipotizzava ieri anche Matteo Salvini, senza i grillini. Di più: la condizione di esistenza di questo governo è un sostegno convinto del pentastellati a un’agenda che è impegnativa e fittissima, a partire dal tavolo sui salari di questa settimana. È, nella logica del premier, una mano tesa a Conte e alle istanze di cui si è fatto carico, non un avvertimento. Ma è un ragionamento che esclude ipotesi di sostegno a intermittenza
Le aspettative dei grillini
Difficile un decreto ad hoc sul Superbonus, come veniva ipotizzato fino a venerdì nel quartier generale di Campo Marzio. Il governo sta lavorando sul tema, ma i tempi sono troppo stretti. Ecco perché nell’inner circle contiano ieri spiegavano che in fondo andrebbe bene anche una conferenza stampa. Con un paio di aperture di Draghi a difesa del reddito di cittadinanza (su cui ieri sono tornati, via social, sia Grillo sia Conte) e sui salari, dopo il vertice di domani con i sindacati.