Giuseppe Ferraro, autore e protagonista del film ” Play Boy”. L’Intervista

31 Ottobre 2022 - 0:43

Giuseppe Ferraro, autore e protagonista del film ” Play Boy”. L’Intervista

E’ il protagonista di Play Boy, il film che lui stesso ha scritto, partendo dal suo libro, incentrato sulla vita che ha vissuto nell’ultimo periodo, in cui ha attraversato tante difficoltà a causa del sopraggiungere della pandemia. Un lavoro, quello di Giuseppe Ferraro, diretto da Domenico Costanzo e che vede nel cast Sergio Forconi, Luca Ferrante, Gianluca Magni e Mia Beghetto. Un’esperienza, che presto verrà incrementata da
un secondo film, di cui ci ha parlato in questa intervista, raccontando parti inedite di sé mai svelate prima. Il film Play Boy è nato dal libro che tu stesso hai scritto. Raccontaci un po’ la sua evoluzione, visto che è partito tutto da una problematica che ti è accaduta…
“Il film parla dei tre anni più brutti della nostra vita, ossia quelli della pandemia. Già prima del Covid, essendo nel commercio, ho visto che le cose andavano male. Il sopraggiungere del virus ha così innescato tante problematiche, che ad un certo punto hanno colpito anche me. Mi sono ritrovato per strada. Dato che non avevo né famiglia, né figli, ho capito che dovevo rimboccarmi le maniche perché dovevo e volevo
andare avanti. Ad esempio, avevo un bellissimo cavallo di trent’anni, che mi è stato lasciato da mio babbo, a cui non potevo dare da mangiare perché non avevo soldi. Non me la sono sentita quindi di affidarlo a qualcun altro, perché, amandolo con tutto me stesso, avevo timore che potesse non prendersene abbastanza cura e lo facesse morire. Motivo per cui mi sono aggrappato al reddito di cittadinanza, anche se
recepivo il valore minimo di 500 euro (di cui 200 per far mangiare il cavallo). E’ quello che mi ha dato la forza di andare avanti ed ho scritto la sceneggiatura del film in soli sei mesi”.

Lavoro di cui poi sei diventato il protagonista, pur non avendo mai fatto l’attore.
“Esatto. Ricordo che il regista mi disse: ‘Attori o si nasce o ci si diventa’. Anche se è stato più facile, perché recitavo me stesso. Il film è articolato in quattro storie che alla fine si congiungono in un’unica storia. Nell’ultimo periodo, se ci pensi, i rapporti amorosi non reggono più; possono durare un mese, qualche anno, ma non c’è più quel senso di famiglia che durava tutta la vita. La pellicola parla poi dei tradimenti da parte degli amici, del lavoro che ti può andare bene ma che all’improvviso può svanire e non c’è più niente. Per concludere con la forza di andare avanti, che ognuno di noi ha e deve cercare. La stessa forza, nei momenti difficili, che io ho trovato nel mio cavallo. Queste sono le tematiche, il riassunto e l’importanza del film”.

E’ una bella testimonianza, perché hai saputo utilizzare il reddito di cittadinanza per risollevarti…

“Sì, grazie a questo aiuto, che a volte sembra niente. L’esperienza mi ha insegnato però che, a volte, nella vita basta anche un piccolo aiuto di un amico come parola o consiglio. A volte non servono neanche i soldi, perché è necessario sollevarsi a livello morale”.

Che tipo di personaggio trovano gli spettatori di Play Boy?
“Al centro della scena c’è un uomo ricco, con un Ferrari, che improvvisamente ha un tracollo. La narrazione comincia infatti a Firenze nel 2019, anno prima del Covid. E’ tutto molto attuale; quelli che hanno avuto occasione di vederlo si sono immedesimati nel racconto. Sia dal punto di vista amorevole, perché il protagonista si trova a frequentare diverse donne con cui puntualmente il rapporto finisce, sia da quello
lavorativo, passando per i tradimenti subiti dagli amici e altre vicissitudini della vita. Ognuno di noi, insomma, attraversa queste fasi. E vorrei che questo messaggio che voglio lanciare si diffondesse, anche attraverso la televisione”.

Tra l’altro, avete dato anche un omaggio a chi si è recato nelle sale a vedere il film…
“Proprio così. Abbiamo dato in omaggio la sceneggiatura scritta in un libro. Un elemento che può incentivare maggiormente la curiosità del pubblico”.

L’abbiamo già citato: la regia è di Domenico Costanzo. Com’è nato il rapporto tra di voi? Lo conoscevi già?
“No, me l’ha presentato un mio amico giornalista de La Nazione, che è rimasto colpito dalla sceneggiatura. La stessa che avevo già mandato a Roma e che volevano pure comprare. Questo però non mi bastava, volevo entrare dentro il progetto. Questo conoscente mi ha così presentato Domenico, che mi ha anche provinato e dato il ruolo del protagonista. Abbiamo girato in zona Rossa, lavorando bene. Sono stati sei
mesi intensi di lavoro per dare vita a due ore di film. Che è interessate e funziona”. So che ti piace definire Playboy come un “Via col Vento” moderno.

Mi spieghi meglio questo concetto?

“In primis per la lunghezza; ma poi perché anche Play Boy parla di una guerra, che è quella che stiamo combattendo da tre anni a questa parte col Covid. Ed è curioso anche osservare il protagonista, che sono io. Nella vita ho sempre avuto una facilità di conquista con le donne; questa cosa mi ha portato ad averne tante. Diciamo che il film parte da ciò, toccando poi i punti cruciali della vita che ho vissuto, così come gli amici miei, che hanno dovuto chiudere dei negozi e attraversato anche altri problemi. Spero sempre che riusciremo a riprenderci dal periodo bruttissimo che abbiamo affrontato, ma non so ancora come. La vita dà e leva, ma in questo momento è la seconda ‘azione’ che sta vincendo”.

Prima hai parlato di storie d’amore che finiscono con maggiore frequenza rispetto al passato. Secondo te,
a che cosa si deve questo?
“Le storie durano poco per via della situazione economica in cui siamo; se non ci sono i soldi, anche l’amore ne soffre. Nascono delle situazioni forti. Ma siamo chiamati a reggere, come se stessimo attraversando il deserto del Sahara”.

Tra i tanti attori del film c’è qualcuno che ti ha colpito di più?
“Sono stati davvero tutti bravi, ma Sergio Forconi mi ha colpito molto. C’è poi Luca Ferrante, che interpreta un mio amico che, purtroppo, si è suicidato a causa del gioco. Un argomento che può essere d’aiuto ad altre persone per non cadere in quella spirale, anche ora che le tasse messe dai nostri politici sono tra le più care di tutto il mondo e ci hanno ridotto all’osso. Ogni giorno è una guerra, non si vede la via d’uscita. E l’ultima ciliegina, purtroppo, è stata la guerra tra Russia e Ucraina che ha aumentato i prezzi ancora di più. Il popolo non ha deciso nulla, ma ci troviamo lo stesso in una brutta situazione. Dove io per primo sono stato trascinato dagli eventi”.

Perché il pubblico deve vedere Play Boy?
“Oltre a parlare dei giorni attuali, può insegnare qualcosa, anche come uscire dai problemi. E’ un invito a non arrendersi, come invece ha fatto il mio amico pischello quando si è suicidato. Il film è emozionante, funziona e spinge a una riflessione. Lo stesso protagonista, nei primi minuti, si punta una pistola alla testa perché non sa più come andare avanti, anche se poi trova la forza. Sinonimo del fatto di quanto, negli ultimi tre anni, sia facile arrendersi; ti salta davvero la testa in poco tempo”.

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